mercoledì 15 novembre 2017

MyLife - IL FIORELLINO CHE CAMBIO' IL MONDO (Una poesia autobiografica inedita)


Si dice che il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Ma io ho conosciuto un fiorellino che è riuscito a stravolgere, a ribaltare completamente, la mia vita e, quindi, quella di molte altre persone.
Un fiorellino dal nome particolare: non si chiama né Margherita né Rosa né Viola.
Non si chiama neanche Mughetto, per fortuna!
Il suo nome è: Simona.
E ha le sembianze di una fanciulla.
Una bella fanciulla a cui è impossibile non dedicare una poesia!...

Ti ho conosciuta tanti anni fa,
in una sera che sembrava primaverile;
era il 15 novembre di trent’anni fa,
quando si incontrarono le nostre vite.
Era una sera bella, da Estate di San Martino,
a Villa Radice Fossati;
e, oltre agli altri, c’erano pure Enzo e don Serafino,
a quella bella Festa della zona
e della Parrocchia San Martino,
a cui mi ero trattenuto solo per puro destino.
Tu per prima mi hai notato,
e, complice un racconto su un libriccino,
subito un complimento mi hai donato.

Così il mio sicuro eremo abbandonai,
e a farmi nuovi amici, e soprattutto amiche, cominciai.
Prima all’Oratorio, poi all’Aias e altrove,
tu mi seguivi sempre, con attenzione;
sul notiziario parrocchiale sempre mi incontravi,
e la Scuola del Fumetto tu mi indicai,
e io, grazie a te e a un gruppo di amici, e soprattutto di amiche,
un corso serale di Sceneggiatura frequentai,
e nuovi rapporti mi creai.
E così, quando andai a lavorare all’Agenzia giornalistica Hpress,
relazionarmi con gli altri era un piacere, e mai uno stress.

Tu, di me, hai letto con passione sempre tutto:
articoli, poesie, racconti, e persino sceneggiature,
di cui, ammettiamolo, a parte dialoghi e didascalie,
o ti metti di buzzo buono o non capisci proprio un tubo.

Tu ti preoccupavi della mia scrittura e dei miei rapporti sociali,
e dei buoni consigli sempre, o quasi, mi davi.
Ogni settimana mi venivi a trovare,
e almeno tre novità ti dovevo dare:
non importava se in ambito lavorativo o amicale,
ma volevi controllare che mi dessi da fare.

Tu mi sei stata vicina anche in un periodo particolarmente oscuro,
e io, con te, mi sentivo sempre al sicuro.
Persino al dottor Cantoni, pur non avendoti conosciuta, eri simpatica,
perché tu, con la tua irruenza, mi davi la giusta carica.

Persino su Facebook mi hai fatto iscrivere,
per ritrovare gli amici che avevo perso di vista;
e anche le radio mi hai fatto contattare,
per i due giovani che al Parco di Monza mi avevano salvato,
e che avrei voluto tanto rintracciare e ringraziare.
A Tutti i colori del giallo, su Rai Radio Due, siamo andati,
e la mia vita è presto cambiata:
uno scrittore abbastanza conosciuto sono diventato,
i falsi amici, anche se non fisicamente, ho eliminato,
e ora pure la prima Civettina d’Oro, per meriti culturali, mi hanno dato.

Orsù, Amica Cara,
la mia poesia finisce qui.
E’ vero, avrei tante altre cose da dire,
ma l’ora del nostro appuntamento
sta per venire al mio cospetto.
Comunque, questa è la verità:
di me, e di ogni persona che ho incontrato,
tu hai cambiato la realtà.
E quando quel dì ti incontrai,
“Che bel fiorellino!” subito come Mister Noir, pensai.
E oggi, come allora, continuo a pensare
che tu sia un bel fiorellino:
un gran bel magico fiorellino
di nome Simona.

©Sergio Rilletti, martedì 14 novembre 2017 – ore 17.47


giovedì 12 ottobre 2017

DUELLO FATALE (Un racconto western)

Illinois, 1866
Ecco, il momento era arrivato. D’ora in poi niente sarebbe stato più lo stesso.
Jack e Martin erano uno di fronte all'altro. Camminavano lentamente, pistole alle cintole. Ai due lati del vicolo, incollati alle pareti delle case, i loro compagni di mille scorrerie e violenze. E, assieme a loro, due testimoni immobili e silenziosi attendevano quel duello con profonda e crescente angoscia.
Jack e Martin si avvicinarono, gli occhi fissi negli occhi.
Lo sguardo di Jack era di pietra, ma il suo sangue ribolliva di rabbia: Martin, il suo grande amico, l’aveva tradito; poteva aspettarselo da tutti, ma da lui no. Non dopo tutto quello che avevano trascorso insieme.

Si erano conosciuti anni prima, nel campo di prigionia nordista Camp Douglas, vicino a Chicago; un posto infernale, dove erano sopravvissuti mangiando ratti e cani per sopperire al rancio che, spesso, veniva loro negato. E, in quel luogo maledetto, condividendo freddo fame e frustrazioni, erano diventati amici, sostenendosi a vicenda: la rudezza di Jack confortava Martin nei momenti più bui, e la calma di Martin placava l'irruenza di Jack.
Sì, loro erano tra i pochi che ce l'avevano fatta, che non erano diventati cadaveri venduti ai gabinetti medici per essere esaminati; e, a guerra conclusa, avevano formato una banda: venti uomini forti e privi di scrupoli, coi quali terrorizzavano tutti gli Stati dell’Unione, depredandoli dei loro averi come il loro esercito li aveva depredati della dignità.
Sì, Jack aveva una venerazione per Martin, lo considerava il suo miglior amico; e l’aveva voluto al suo fianco nel comando. Ufficialmente erano loro i capi, ma era Jack il più carismatico; e quando lui e Martin non erano d’accordo, era sempre Martin a dover cedere.
Ma poi, un giorno, dopo l’ennesima discussione per il piano d’un colpo in banca, Martin decise di agire di testa sua: riunì tre compari della banda, e organizzarono una rapina senza dirlo a Jack.
La rapina andò bene, ma i tre compari dimostrarono un eccessivo entusiasmo con i propri compagni; Jack non gradì la situazione che si era creata alle sue spalle, e, quella stessa notte, tese loro un agguato e li freddò con tre colpi.
All’eco dei tre spari, Martin e tutti i compari della banda si riversarono in strada. Trovarono solo i tre cadaveri, ma l’assassino non ebbe alcun problema a comparire subito alle loro spalle.
Con tono glaciale Jack accusò Martin di essere un infame traditore, e gli mollò un gran ceffone che lo fece crollare a terra. “Finché siamo nella stessa banda dobbiamo prendere le decisioni assieme. Non possiamo permettere che un piccolo gruppo di balordi metta in pericolo tutti noi.”
“Sei un bastardo.”
“Se non t’ammazzo è solo perché, per qualche strana ragione, sono ancora affezionato a te.” Si fermò un momento; sapeva di aver intrapreso una strada senza uscita, che c’erano alcuni uomini affezionati a Martin; ma, proprio per questo, non poteva rischiare di spaccare la banda a metà. “Vuoi andartene? Pensi che uno di noi due sia di troppo?” Allargò le gambe, andando fino in fondo. “Bene: facciamo un’ultima rapina, e poi sistemiamo questa faccenda.”
La costernazione fu rumorosa e totale, ma Jack aveva già le idee chiare.

Il giorno dopo, il sole picchiava tosto; sulla diligenza erano solo in quattro: due giovani italiani, Mario e Franco, uno di fronte all’altro, e le loro giovani donne, Kate e Jennifer.
Mario e Franco non si conoscevano, ma le loro esistenze si incrociavano. Erano di Genova e di Verona, ed erano emigrati in America, sei anni prima, in cerca di fortuna e avventura. Quando scoppiò la guerra tra gli usa e gli Stati Confederati d'America, ovvero tra nordisti e sudisti, avevano deciso di arruolarsi come volontari. Giuseppe Garibaldi aveva rifiutato l’invito di Lincoln di comandare un corpo d’armata dell’esercito dell’Unione, sostenendo il liberismo degli Stati del Sud e preferendo, quindi, rimanere neutrale; ma loro, Mario e Franco, erano giovani e non potevano certo rimanere neutrali: combatterono, senza saperlo, in due fazioni nemiche; come molti giovani italiani della Louisiana, d’altronde, che si erano ritrovati divisi dall’ideologia in due battaglioni contrapposti.
Mario incontrò lo sguardo di Franco, e lo distolse subito. Non gli piaceva fare conversazione con gli estranei: la guerra era finita da poco, e, ora che tutti vestivano abiti civili, non sapeva mai se aveva davanti un Unionista o un Confederato.
Lui aveva combattuto per la liberazione dei negri dalla schiavitù sudista, ma durante la spedizione guidata dal colonnello Grierson per far saltare il nodo ferroviario tra Newton e Vicksburg, aveva visto alcune serve negre nelle abitazioni dei benestanti, e non sembravano affatto scontente della propria condizione; però, per gli schiavi che lavoravano nelle piantagioni di cotone, probabilmente era ben diverso. Ed era per questo che si erano sobbarcati quella lunga ed estenuante marcia, sopportando freddo fame e stenti, inoltrandosi per trecento miglia in territorio nemico: per infliggere un duro colpo ai sudisti, che osavano usare i negri come schiavi per incrementare più facilmente la propria economia.
Mario prese la mano di Kate, e gliela strinse con delicatezza; lei lo guardò, e i due ragazzi si sorrisero, trasformando tutto quello che li circondava in un unico quadro d'amore.
Franco distolse lo sguardo, guardando fuori dal finestrino, sorridendo.
Anche lui era a disagio a parlare con gli estranei.
Aveva combattuto, con l’esercito sudista, per la difesa di Petersburg, lottando contro i bastardi yankee che la tenevano sotto assedio. Brutti bastardi, si imbellettavano con le loro giacche blu, le stesse con le quali avevano massacrato i nativi di quel continente, declamando slogan contro la schiavitù, mentre in realtà si erano mossi solo per motivi economici: perché non potevano ammettere che gli Stati della Confederazione, molto meno sviluppati industrialmente, potessero far loro concorrenza. E la notte del 30 luglio di un anno prima, lui e i suoi compagni li avevano massacrati: quei bastardi erano precipitati nel cratere che loro stessi avevano creato facendo saltare in aria parte della guarnigione a cui lui apparteneva: subito dopo l’esplosione, i nordisti erano partiti all’assalto, ma erano precipitati nella loro stessa trappola. E il massacro fu totale.
Jennifer gli strinse delicatamente una spalla; lui le prese la mano, ma non si voltò: era ancora troppo immerso nei suoi pensieri.
Degli spari risuonarono nell’aria, squarciando pensieri e quadri d'amore.
La diligenza si fermò, e davanti al finestrino degli uomini comparve un bandito, cappello bianco e fazzoletto scuro sul volto, mentre sull’altro lato comparve un altro bandito, dal cappello nero, a piedi. “Scendete!” ordinò quest'ultimo, spalancando lo sportello e tenendoli sotto tiro.
“Anche tu, cocchiere!” ordinò quello col cappello bianco. Il cocchiere obbedì e si unì ai quattro malcapitati.
Ora erano tutti in fila: Mario, Kate, Jennifer, Franco, e il cocchiere.
C’erano altri due banditi, che scesero da cavallo e li depredarono in fretta di tutti i loro averi.
L’uomo dal cappello scuro prese il lembo inferiore del fazzoletto, e si scoprì il volto.
Martin e gli altri due compari seguirono l'esempio di Jack. I quattro ragazzi rimasero scioccati da quell’intraprendenza, e sui loro volti cominciò a delinearsi il vero terrore. Il cocchiere cominciò a sudare e a tremare.
I quattro sgherri risero sguaiatamente.
“Bene. Signore e signori,” disse Jack, inclinando leggermente la testa a sinistra e a destra, “abbiamo finito. Avete visto come siamo stati veloci? Grazie per la collaborazione!” Si fermò un momento; poi, facendo udire bene il gracchìo del cane della pistola che stava armando, disse: “E ora datevi il bacio d’addio”.
Kate spalancò i suoi bellissimi occhi azzurri, sprigionando in un colpo solo tutto lo stupore e lo smarrimento dei quattro ragazzi.
“Avanti!” incalzò Jack.
Kate, con la bocca tremante per la paura e la passione, si voltò verso Mario, che le cinse la vita e la baciò con fervore. Franco prese il capo di Jennifer tra le mani, e cominciò a darle tanti piccoli baci sulla bocca.
“Ehi, tu! Non hai nessuno da baciare?!” urlò Jack al cocchiere.
L’incanto finì. I quattro giovani si ridestarono, girandosi, spaventati, verso il bandito.
“Già finito?” esclamò lui restituendo lo stupore. “Okay!” E sparò tre volte, fulminando Kate, Jennifer, e il cocchiere.
Mario e Franco caddero in ginocchio, e piansero disperatamente sui cadaveri delle loro donne.
A un cenno del capo di Jack, i due banditi si avvicinarono a loro, stordendoli col calcio della pistola e caricandoli di traverso sui cavalli.
I quattro banditi ripartirono al galoppo. Jack e Martin, in testa, si scambiarono uno sguardo d’intesa, un misto di rancore e complicità. La loro amicizia era giunta al termine: quello era stato il loro ultimo colpo, quello era il loro ultimo momento assieme. Tra poco si sarebbero sfidati a duello, davanti a tutti; quello sarebbe stato il loro fatale addio.
Ed entrambi lo sapevano.

Ora il momento era arrivato.
Jack e Martin fecero qualche altro passo.
Nessuno fiatava. Tutti i loro compari erano immobili e silenziosi.
Come i due angosciati testimoni, d’altronde.
Jack e Martin si fermarono, uno di fronte all'altro, a pochi metri di distanza; fissandosi dritti negli occhi. Avvicinarono lentamente le mani alle pistole. Qualche attimo di immobilità... poi si voltarono di scatto e spararono.
Mario e Franco, i due testimoni di quella sfida, ognuno imbavagliato e legato a una sedia, stramazzarono al suolo, rantolando: uno era stato messo alle spalle di Jack, l’altro alle spalle di Martin, tramutando i due italiani in bersagli umani. Gli sguardi di Jack e Martin saettarono di qua e di là: nessuno dei due era riuscito a colpire il proprio bersaglio in un punto vitale, ma il primo che sarebbe morto avrebbe stabilito chi, tra Jack e Martin, sarebbe stato il nuovo, unico capo, e chi, invece, avrebbe dovuto abbandonare la banda per sempre.


©Sergio Rilletti, 2008

martedì 13 giugno 2017

MyLife - IL MIO INTERVENTO PER LA CIVETTINA D'ORO (Celle Ligure, Sabato 20 Maggio 2017)


 
Buongiorno a tutti, e Grazie per essere qui, in questo giorno così importante per me, per la Città di Celle Ligure, e, data la vostra presenza, anche per voi!
Ringrazio subito, senza alcun indugio, il Sindaco, Renato Zunino, per aver deciso di conferirmi questa preziosa onorificenza, la Civettina d’Oro, sia per meriti letterari e culturali, come scrittore, sia per il forte rapporto che ho da sempre con questa città.
Un prestigioso riconoscimento di cui sono molto grato e orgoglioso, e che io, non essendo Bob Dylan, ho subito accettato con grande entusiasmo!

In effetti, il mio rapporto con Celle Ligure è iniziato ben oltre 49 anni fa, da ancora prima di nascere, dato che i miei genitori venivano già qui, in vacanza, da diversi anni.
Un rapporto che, a volte, mi ha visto anche come unico rappresentante della mia famiglia, palesandomi qui con un nutrito gruppo di amici, senza genitori.
Un rapporto che si è talmente consolidato negli anni, che ormai considero Celle Ligure la mia seconda casa: con le strade come corridoi, la passeggiata lungomare come mansarda, e una moltitudine di persone affettuose e simpatiche come coinquilini.
Un rapporto che non può essere scisso dalla mia attività di scrittore, dato che io inspiro relazioni ed espiro racconti.

Una delle cose più piacevoli della vita è proprio questa. Fermarmi a rimirar il mare.
Lo faccio spesso, quando vengo a Celle Ligure.
Mi piazzo qui, dove il mare arriva fin sotto la passeggiata, e lo contemplo; lo osservo allungarsi fino all’orizzonte, e oltre.
Il mio sguardo fluttua sulle acque, veleggia, e, sospinto dai ricordi, mi riporta al passato.

Quello che avete appena sentito è l’incipit di Una vacanza formativa, un mio recente racconto autobiografico che ho scritto per la rivista SuperAbile Inail, dove parlo di una vacanza particolarmente significativa per me come persona disabile e che ho voluto far iniziare e finire proprio qui, a Celle Ligure, in un affettuoso abbraccio a questa città.
Potrei fare l’intera cronistoria della mia vita vacanziera cellese, scandita dai miei vari mezzi di locomozione: prima il passeggino, poi la carrozzina manuale, e, infine, da circa trent’anni, le diverse carrozzine elettriche, sempre più moderne e sofisticate.
Già, potrei. Invece farò altro.
Parlerò, invece, di autonomia e di libertà, e dei rapporti che ho potuto tessere, da solo, grazie a questa città, priva di barriere architettoniche. Comincerò, quindi, con una rapida e schematica carrellata tra le persone che ho potuto conoscere scorrazzando liberamente tra la mansarda e i corridoi di questa mia seconda casa.
I diversi gruppi di amici, che, dall’età di vent’anni, ho scelto di frequentare, cambiando anche compagnie o tenendomi stretti solo alcuni loro elementi, passando da un luogo all’altro, da una spiaggia all’altra, sempre ben accolto, devo dirlo, dai proprietari degli stabilimenti balneari e dai loro solleciti bagnini.
E poi, i proprietari dei negozi (bancarelle comprese), dei ristoranti, e dei locali, che mi salutano, scambiano quattro chiacchiere con me, mi manifestano la loro simpatia in modi diversi, e, all’occorrenza, a un segnale implicitamente convenuto
(le quattro frecce della mia carrozzina che lampeggiano simultaneamente),
capiscono che devono prestarmi aiuto.
Le cameriere e le dipendenti dei suddetti esercizi commerciali, simpatiche e disponibili come i suddetti proprietari, ma con le quali… mi soffermo un po’ di più!
Gli educatori, i volontari, e gli ospiti di Villa Maria Teresa, di stanza ai Piani di Celle - una splendida comunità per le persone con disabilità, un autentico fiore all’occhiello di questa città -, che non solo mi salutano con grande entusiasmo ogni volta che mi incontrano, ma vengono pure alle presentazioni dei miei libri.
I giovani e mitici scout nautici di Celle Ligure, e i relativi capi, che, dall’estate 2015 - quando, impossibilitato a guidare, decisero di allietarmi le serate uscendo con me -, non perdono occasione per salutarmi e, a volte, per chiacchierare un po’.
Le autorità e le Forze dell’Ordine cellesi, con cui ho sempre avuto un buon rapporto, anche di dialogo.
Il personale del Comune, per il quale, ormai, credo di essere diventato una sorta di cugino adottivo, che mi guarda con simpatia, aiutandomi, ogni volta che entro.
E, per concludere questa rapida carrellata con una nota un po’ folkloristica, l’abituale e fortuito incontro con “Ciao, Freccia!”, il confidenziale saluto che, da anni, un gruppo di ragazzi mi riserva ogni volta che mi incontra, per poi dileguarsi, l’istante immediatamente successivo, tra la folla e nell’ambiente.
E poi tantissime persone, di tutti i tipi, che è proprio impossibile elencare in modo esaustivo, provenienti dalle diverse realtà cellesi (turisti compresi), che mi fermano - alcuni dichiarandosi pure miei lettori - o che fermo io, per un reciproco scambio di relazioni; facendo mie le suggestive note e parole di Hey man, una delle canzoni più belle, anche se meno conosciute, di Zucchero.

Ma non è tutto qui, ovviamente: perché libertà e autonomia vogliono dire anche integrazione. Integrazione nella vita sociale della città, avendo, quindi, la concreta possibilità di partecipare, autonomamente, alle sue iniziative, tessendo così nuove relazioni. E io credo di poter asserire, con relativa certezza, che si potrebbe fare un volume piuttosto corposo, stilando semplicemente l’elenco di tutte le iniziative a cui ho partecipato (a volte anche come protagonista).
Tra tutti questi eventi, oltre ai concerti della Banda G. L. Mordeglia, che seguo puntualmente da tempi immemorabili, e a quelli dei Mezzosotto, un formidabile ed elettrizzante quintetto di cantori a cappella, ne voglio ricordare due che sono stati proprio fondamentali per me.
La Mostra Internazionale del Cinema Indipendente, che per 12 anni ha ravvivato le estati cellesi, invitando anche ospiti prestigiosi - tra cui Alessio Boni,  Enzo Iacchetti, e la partecipazione virtuale di Andrea G. Pinketts -, e che speriamo
(plurale d’obbligo, perché speranza collettiva)
possa ritornare presto; e Libri al sole, il prezioso festival letterario organizzato dall’omonima Associazione Culturale, e dedicato all’editoria di piccola e media grandezza, che speriamo
(plurale sempre d’obbligo)
possa continuare ancora a lungo.
Due belle manifestazioni che non mi sono limitato a seguire solo come spettatore, ma dove, avendo dei sogni da scrittore, e degli obiettivi ben precisi da raggiungere, munendomi di una certa dose di coraggio mi sono messo direttamente in contatto con gli organizzatori. Riuscendo sempre a raggiungere i miei scopi.
E tutto ciò perché Celle Ligure è una località accessibile a tutti!... Neonati (in carrozzina) compresi.

Già, i bambini. Con loro ho un rapporto speciale: quelli che mi conoscono, e che considero dei piccoli amici, mi accolgono sempre con un’esplosione di felicità, correndomi pure incontro; gli altri, quelli che magari mi notano per strada, si fermano, mi scrutano, e, giustamente incuriositi, mi parlano, cercando pure di capirmi; e alcuni ci riescono. Anzi: qualcuno, che mi conosce da quando andava all’asilo, ci riesce talmente bene che mi fa persino da traduttore ai propri genitori!
Ma il rapporto con la città di Celle Ligure si è consolidato definitivamente quando, circa dieci anni fa, una signora, vedendo che ero dispiaciuto di non poter andare in chiesa (causa scalinata all’ingresso), informò mia mamma che c’era un percorso alternativo dotato di una rampa e un ascensore.
Lì, don Piero Giacosa, il parroco della Parrocchia San Michele, mi accolse subito con grande entusiasmo, facendomi partecipare, in modo eclatante, alla Veglia Pasquale, che cominciava pure con un falò all’esterno, avendo cura di farmi vivere assolutamente tutto, sin dal principio, al meglio; immettendomi, di fatto, in quella comunità parrocchiale, e riempiendomi di esuberante affetto ogni volta che mi vedeva.
Una comunità che ho trovato subito festosa e accogliente, e in cui ho voluto proprio integrarmi, ampliando pure le mie conoscenze. Complice anche una bimba piccolina che, scrutandomi e venendo a farmi le carezze ogni volta che mi vedeva a Messa, mi ha permesso di conoscere i suoi genitori.
Integrazione che si è consolidata qualche estate dopo, quando, assieme a mia madre, partecipai a una serie di incontri di preghiera, in stile Taizè, che si tenevano nella cappella della Casa di Riposo di questa città. Un’esperienza molto emozionante, di aggregazione, organizzata da don Pietro Pinetto, che in quel periodo guidava la Parrocchia San Michele: una persona di garbo, gioiosa e mite al tempo stesso, di cui ho un bellissimo ricordo che niente e nessuno potrà mai dissipare.
La stessa Casa di Riposo fuori dalla quale, fino a poco tempo prima, un terzetto di anziani, capeggiati da una certa signora Rosa, ogni volta che mi vedevano passare, mi fermavano per un veloce, e ben augurale, scambio di battute. Un doppio-appuntamento giornaliero a cui aderivo molto volentieri, sapendo che, a loro volta, attendevano con gioia il mio passaggio.
Una realtà, quella cellese, che ho sempre cercato di rappresentare nei miei racconti.

Ora, mentre mi guardavo attorno, mi domandavo se, almeno quel giorno, erano fuori servizio; se, almeno per quel giorno di festa, il telefono avrebbe potuto non squillare.
Una conoscenza di vecchia data mi distolse dai miei pensieri. Parlammo un po’, poi io e i miei genitori andammo a fare un giro per i locali della nuova sede; e, quando tornammo nel salone, due bionde si stavano esibendo al karaoke.
Dopodiché, qualcuno cominciò a ballare.
Una sorta di garbata discoteca senza luci psichedeliche. E senza, soprattutto, il lampeggiante azzurro, che illumina le sere e le notti estive quando l’ambulanza è ferma a soccorrere qualcuno.
Già. Chissà se, almeno per quel giorno, il telefono avrebbe potuto non squillare!

Il brano che avete appena sentito è tratto da La festa degli angeli, un altro mio racconto autobiografico, in cui però ho il semplice ruolo di “testimonial della realtà”, che ho scritto dopo aver partecipato alla festa d’inaugurazione della nuova sede della Croce Rosa cellese. Un sentito omaggio, spero gradito, che ho voluto ufficialmente dedicare, in qualità di scrittore, a tutti i suoi volontari, immedesimandomi in loro.
Un racconto che, assieme a Solo!, il mio racconto autobiografico per eccellenza - tuttora scaricabile gratuitamente dal web -, e a quattro avventure di Mister Noir, è stato poi pubblicato ne I Misteri di Mister Noir, un’antologia, ormai introvabile, che l’Associazione Progetto Cine Indipendente Onlus, di Celle Ligure, ha voluto pubblicare in occasione dell’omonimo storico incontro, da lei stessa organizzato nell’Agosto 2011, che mi ha visto, per la prima volta, protagonista assoluto.
Ed è proprio in una di queste avventure, Attentato al Cineindipendente, ambientata in diverse zone di Celle Ligure, che, in una miscela di fantasia e realtà, ho messo in evidenza il percorso alternativo, munito appunto di rampa e ascensore, che collega la Chiesa San Michele al mondo esterno.
Quell’incontro fu un successo, e l’omonima antologia, stampata in tiratura limitata di 100 copie, andò esaurita in meno di 36 ore (ore di sonno comprese).
Ma il connubio tra Mister Noir e Celle Ligure non si limita solo a questo. Il successo si replicò l’estate successiva, quando proprio qui, nella Sala Consiliare del Comune, presentai, in anteprima assoluta, Capacità Nascoste, un’antologia di racconti thriller con protagonisti diversamente abili e le loro reali capacità, che curai con Elio Marracci, e che vide la partecipazione anche di Andrea G. Pinketts, Andrea Carlo Cappi, e Mister Noir. L’accoglienza fu talmente strepitosa che una libraia mi confessò che, quell’estate, qui a Celle Ligure, quel mio libro aveva venduto più copie di 50 sfumature di grigio, il bestseller del momento, facendomi sentire vittorioso e tronfio: un po’ come Asterix contro l’Impero Romano!

Mr. Noir affrontò le prime due rampe della giornata, salendo e scendendo da un marciapiede, che gli consentivano di proseguire su quel lato della strada [di Via Colla] e di attraversare, più avanti, sulle strisce pedonali.
Era rassicurante per Mister Noir constatare che il Comune si era adoperato per abolire quella barriera, permettendo a tutti di andare ad attraversare la strada sulle strisce pedonali, in perfetta sicurezza… e legalità.
Arrivò alle strisce.
Guardò a sinistra e a destra.
Non arrivavano macchine.
Guardò meglio.
Non c’erano nemmeno gatti neri.
Attraversò.
A sua insaputa, l’ora di terrore del ragazzino si stava avvicinando. A pari passo con la sua carrozzina.
Giunto in Via Boagno, che tutti conoscono come Piazza del Municipio, la piazza principale del paese, salì sul Lungomare Ponente, che costeggia e corteggia il centro storico, mostrando le case colorate, che danno sollievo solo a guardarle, i locali, e alcuni negozi.

Inseguimento a ruota, da cui è stato tratto questo brano, è un racconto che ho  scritto nell’Agosto 2006 per il sito della LEDHA - Lega per i diritti e la dignità delle persone con disabilità -, che ha sempre manifestato il proprio entusiasmo per Mister Noir - il primo eroe disabile seriale della Storia della letteratura italiana, protagonista oltretutto di thriller umoristici -, sin dalla sua prima avventura.
Un racconto in cui ho voluto attribuire al mio personaggio seriale un’esperienza che ho realmente vissuto all’età di vent’anni proprio qui, a Celle Ligure, e che ho riprodotto fedelmente, intenzioni e deduzioni comprese, aggiungendovi alcune situazioni-tipo, che mi capitano abitualmente quando passeggio in questa città, suggellando il tutto con l’aplomb tipico di Mister Noir.
Un racconto che, assieme ad altri sei, compone il mio libro Le avventure di Mister Noir (Cordero Editore). Un libro, nato per celebrare la nascita editoriale di Mister Noir, la cui gestazione ha avuto molto a che fare con la mia vita cellese, come narro in alcuni aneddoti, alla fine del libro stesso.
Un libro dove, tra le altre cose, nel bel mezzo di un’anomala rapina palindroma, Mister Noir interviene, un po’ alla Bud Spencer, in difesa di due bambini, vittime di un atto di bullismo.
Un’antologia di racconti che, secondo diversi docenti, bisognerebbe far leggere nelle scuole.
Un libro grazie al quale, a causa di una sagace battuta di Mister Noir sulle barriere architettoniche, un negoziante reale, di cui sono un assiduo cliente da svariati anni, si è accorto che il suo locale non è accessibile alle carrozzine, inducendolo a promettermi che si sarebbe adoperato a risolvere il problema.
Un libro che a ogni presentazione ha attirato una marea di pubblico, per la gioia, e lo stupore, dei diversi organizzatori.
Un libro la cui ultima presentazione qui a Celle Ligure, svoltasi allo Spazio SMS Messaggi d’Arte con il patrocinio del Comune, ha visto coinvolta l’intera città, rendendo quasi impossibile trovare un luogo dove non fosse esposta la locandina dell’evento. Un calore smisurato che ho riscontrato anche durante l’incontro, quando, vedendo persino persone in piedi assieparsi fin fuori dal locale, per un attimo ho avuto una crisi d’identità, pensando di essere Vasco Rossi.
E poi domande a raffica, che fioccavano da tutte le parti; e, nell’entusiasmo generale, qualcuno si alzò e propose di nominare Mister Noir “cittadino onorario di Celle Ligure”.
E infine, dopo qualche giorno, ricevetti la proposta di fare un film.

Oggi noi siamo tutti qui grazie al Sindaco Renato Zunino, che ha voluto inaugurare questa magnifica onorificenza, dopo otto anni dalla sua istituzione, attribuendola proprio a me.
Ora, prima di avviarmi al finale di questo mio lungo intervento, spero degno di tanta Civettina d’Oro, devo, anzi voglio, ringraziare tre persone che ho proprio voluto qui con me, oggi, in questa speciale occasione.
Tre illustri colleghi e, soprattutto, tre veri amici.
Daniele G. Genova, con cui ho condiviso diverse serate cellesi, e che, assieme a Martin Zanchetta, ha condotto l’eccezionale presentazione, indipendentemente dal sottoscritto, che vi ho appena raccontato, caricandola di simpatia e umanità, sorprendendo veramente tutti, compreso me.
Andrea G. Pinketts, che, con la sua roboante ironia, è riuscito subito a stabilire una bella intesa con me, accogliendomi nel suo gruppo a braccia talmente aperte da portarmi lui stesso su e giù dalle scale del Boulevard Café di Milano. Un’intesa predestinata a manifestarsi in modo ottimale, dato che, anni prima, a nostra reciproca insaputa, collaboravamo entrambi ad Achab-Il  corriere dell’avventura.
E, infine, Andrea Carlo Cappi, doppiatore ufficiale dei miei pensieri - come sta facendo, anche in questo preciso momento, qui davanti a tutti voi - e, soprattutto, mio mentore. E’ stato lui che, quando era alla guida di M-Rivista del mistero, ha cominciato a darmi visibilità, pubblicando assiduamente i miei articoli e i miei racconti, tra cui Solo!, a cui ho accennato poco fa, e la serie di racconti Le avventure di Mister Noir, che ora, in qualità di Direttore Editoriale della Collana M di Cordero Editore, ha voluto ripubblicare, aggiungendovi qualche inedito, nell’omonima antologia; rendendosi quindi corresponsabile, in automatico, di tutto quello che vi ho raccontato finora.

Ora, mentre mi avvio verso il rush finale, non posso non ricordare La Grande Truffa (Un giallo tutto d’oro), un thriller umoristico a puntate che scrissi nel lontano 1988 per Notizie Da, il notiziario della Parrocchia San Martino in Villapizzone di Milano che, in cuor mio, ho sempre considerato e trattato come una rampa di lancio per il mio sogno di diventare uno scrittore famoso.
Un racconto che, ambientato qui a Celle Ligure, aveva come protagonisti me e un gruppo di miei amici.
Un racconto che, per via dello stile e di certe idee - ed essendo io convinto, anche allora, di quello che stavo facendo -, oggi posso tranquillamente considerare l’antesignano delle avventure di Mister Noir. Un transfert riuscito talmente bene, che, ormai, tutti considerano me l’alter ego di Mister Noir (anziché viceversa).

Bene. Ora sono veramente giunto al rush finale.
Quindi, ringraziando ancora di tutto cuore il Sindaco Renato Zunino per la lungimiranza e il coraggio con cui ha voluto conferire la prima Civettina d’Oro di questa città proprio a me, che, come avrete intuito all’inizio, per me equivale a un Premio Nobel, voglio dedicare il mio ultimo pensiero ai miei genitori, a mia sorella, alla mia amica Simona, e a tutti coloro che hanno sempre concretamente sostenuto il mio sogno di affermarmi come scrittore; ma, soprattutto, a mia nipote e a tutti i miei giovani e piccoli amici.
Eh sì. Perché, come dico sempre quando vado a incontrare gli studenti nelle scuole, citando la canzone Uno su mille (ce la fa) di Gianni Morandi - che ha fatto da colonna sonora e da sprone al mio sogno, soprattutto nei momenti più bui -, impegnandosi sempre al meglio, approfittando di ogni opportunità (magari andandole pure a cercare), e non mollando mai, ma proprio mai, prima o poi i propri sogni si realizzano.
E questa Civettina d’Oro ne è la prova!


©Sergio Rilletti, 2017

domenica 14 maggio 2017

A MAGGIO: UNA ONORIFICENZA A CELLE LIGURE (SV), E UNA NUOVA PRESENTAZIONE A MILANO


Salve a tutti!... E’ con vero piacere, e autentica viva emozione, che posso annunciarvi che SABATO 20 MAGGIO, alle Ore 10.30, presso la Sala Consiliare del Comune di Celle Ligure (Via Boagno, 11 - CELLE LIGURE), il Sindaco, Renato Zunino, mi conferirà la CIVETTINA D’ORO, per meriti letterari e culturali.
Un’onorificenza che, seppur esistente dal 2009, finora non è mai stata conferita a nessuno.
Interverranno alla Cerimonia: Andrea G. Pinketts, Daniele G. Genova, Andrea Carlo Cappi… e ospiti a sorpresa!




Inoltre, VENERDI’ 26 MAGGIO, alle Ore 18, presso la Libreria Odradek (Via Principe Eugenio, 28 - MILANO), vi aspetto tutti per la presentazione del mio libro Le avventure di Mister Noir (Cordero Editore).
Un incontro in cui si parlerà anche del binomio esistente tra giallo e umorismo.
Insieme a me interverranno: Andrea G. Pinketts, Andrea Carlo Cappi, e Felice Accame.


VI ASPETTIAMO NUMEROSI AD ENTRAMBI GLI APPUNTAMENTI!

domenica 9 aprile 2017

MyLife - SOLO!... I TRE (O QUATTRO) VOLTI DI DIO (Un racconto autobiografico inedito)

 
Si dice che Dio lo si incontri nei volti delle persone; soprattutto in quelle più bisognose d’aiuto. Basta riconoscerlo!
A me è capitato esattamente il contrario. L’ho incontrato tre o quattro volte, dipende da come le si conta, Domenica 9 Aprile 2006, al Parco di Monza. Desideroso di aiutarmi.
L’ho riconosciuto subito; soprattutto quando, alla fine, si è palesato a me con due volti, quello di un lui e di una lei, contemporaneamente!
Questa ne è, brevemente, la storia.


Non so quanto tempo fosse passato, da quando mi abbandonarono in mezzo al Parco di Monza, per farsi un giro in risciò e non tornare più. Ma sicuramente troppo.
Troppo per me, troppo per i miei nervi, troppo per la mia piccola carrozzina elettrica che rischiava di scaricarsi.
Insomma, troppo.
E tutto per l’indicazione di un educatore facilone
(“Tanto, la strada è facile: vai avanti fino all’autodromo e poi giri a sinistra, costeggiandolo”),
che poi risultò fasulla.
Così, non avendo più indicazioni da seguire, iniziai a cercare, più volte, una strada alternativa per raggiungere la mia meta finale, tornando spesso, dopo ogni tentativo fallito, nel punto esatto in cui mi avevano abbandonato, nella vana speranza che tornassero indietro a cercarmi.
Mi risolsi, quindi, a cercare aiuto; anche se, con i miei gravi problemi motòri, uniti a quelli specifici dell’articolazione del linguaggio, sarebbe stata un’impresa alquanto improba.
E fu così che incontrai i miei tre (o quattro) volti di Dio.
La prima volta fu quando mi addentrai in una cascina, sfidando il terreno accidentato, a rischio di ribaltarmi.
Sembrava una città fantasma, con i palazzi fatiscenti. Fu lì che incontrai un anziano contadino, che avevo già notato poco prima, che, capendo che avevo  bisogno d’aiuto, s’interessò a me. La sua voce era fessa, ma lui no. E quando gli dissi semplicemente “Cascina Costa Alta”, ovvero la mia meta finale, lui mi indicò la strada, avvertendomi però che ero a due chilometri di distanza e che avrei dovuto fare una “salita così!”.
Ringraziai e, anche se per nulla tranquillo, mi avviai. Ma, anche quella strada, come altre che avevo provato in precedenza, dopo un po’ risultò interrotta.
La seconda volta fu quando mi appostai di fianco a una mappa del Parco, tentando di attirare l’attenzione.
Arrivò un giovane pattinatore, castano e riccio, che, dopo qualche giravolta sui suoi rollerblade, si fermò accanto a me. Io gli indicai la Cascina sulla mappa, e lui mi indicò la strada. Lo ringraziai, lui se ne andò, e io mi avviai seguendo le sue indicazioni, svoltando, poco dopo, in un viale a sinistra, che però mi sembrava di aver già percorso un’infinità di tempo prima.
E fu qui, quando ormai ero all’apice dello scoramento e della depressione, che feci il mio terzo/quarto incontro: quello doppio, quello dei due volti, quello definitivo.
Si trattava d’una coppia di giovani - lei bionda ed estroversa, lui bruno e pacato -, che appena mi videro, solo e spaventato, capirono subito tutto, compreso che ero con un gruppo… che mi aveva perso!
Improvvisamente, mi sentii al sicuro, capii che loro non mi avrebbero abbandonato, e in cuor mio li definii subito, ma proprio subito, “Due angeli custodi mandati da Dio”. Lei, Lisa - che, vedendomi stupito da come mi capiva bene, mi disse, a mo’ di spiegazione, che faceva la maestra -, e il suo amico, prendendo l’agenda dalla mia borsa, e utilizzando il cellulare di lui, riuscirono a rintracciare il gruppo di volontari, e relativo educatore volpone, che mi avevano perso.
E mi fecero venire a prendere.

Ecco. Questa è, brevemente, la storia di quando, quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, al Parco di Monza, incontrai tre o quattro volte Dio. E dei relativi volti.
Purtroppo non potei mai richiamare quei due ragazzi, quei miei due giovani ed encomiabili soccorritori, come invece avrei proprio voluto fare, per ringraziarli, perché tutte le persone che erano entrare in contatto col numero di cellulare del ragazzo, persero anche quello!
E anche se Solo!, il racconto completo e dettagliato dell’intera vicenda, che scrissi nel 2006 con la specifica speranza di rintracciare quei miei due giovani soccorritori, mi portò tantissima fortuna, io spero sempre di poter ritrovare quei due fantastici ragazzi, e ringraziarli!...

Sergio Rilletti
(Milano, domenica 9 aprile 2017)

mercoledì 22 marzo 2017

MyLife - CARO AMICO, TI PRESENTO IL MIO DIO (Un testo autobiografico inedito)


Salve a tutti!... Nel Maggio 2001 partecipai, con la Parrocchia Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola di Milano, a un ritiro spirituale a Verona.
Durante quel ritiro, Padre Giuliano Franzan ci diede il compito di scrivere una lettera aperta intitolata Caro amico, ti presento il mio dio.
Non era un lavoro di gruppo. Ognuno doveva scrivere la propria, e poi metterla in un cesto comune.
Ne scrissi una anch’io.
Ora, dopo tanti anni, in occasione dell’imminente visita di Papa Francesco a Milano e della S. Messa che celebrerà sabato pomeriggio al Parco di Monza, a cui io parteciperò, ho deciso di renderla pubblica; in modo da celebrare, come meglio posso, questo importante incontro, e farmi conoscere, a chi lo volesse, anche sotto questo aspetto.

Sergio Rilletti
(Milano, mercoledì 22 marzo 2017)


Verona, 6 maggio 2001


Caro Amico,
                      ti presento il mio Dio.

Forse ti sembrerà un inizio un po’ pretenzioso. Come si fa a presentare qualcuno che, fino a prova contraria (e finora non ce n’è neanche una!), ha creato tutto il mondo?
Quindi, se Dio è il mondo, come fa ad appartenermi? Come fa ad essere mio?
Lo so che è un po’ difficile da capire, eppure è proprio così; e me lo porto sempre qui, in saccoccia.

Io mi sveglio, penso a Lui, e spero che mi dia la forza per vivere la giornata seguendo la Sua volontà; a volte lo prego per questo, a volte mi limito a sperarlo.
Poi mi alzo, e inizio la mia giornata; una giornata molto lunga e intensa, durante la quale lavoro, mi diverto, incontro persone, e progetto.
Durante tutto il giorno, Dio è con me. A volte gli chiedo aiuto, a volte me lo dà spontaneamente, altre volte mi sembra che mi faccia degli orribili scherzetti, e mi arrabbio: come farei con un amico.
Sì, perché Dio è un amico.
A volte lo incontro nel sorriso di un ragazzo, a volte, più spesso, in quello di una ragazza. Enzo e Simona. Potrei citare un sacco di sorrisi con cui mi si è presentato Dio, ma sono stati i loro ad invadere la mia vita, travolgendola, strappandomi dal mio bene amato eremo per catapultarmi a diretto contatto con il mondo.
Certamente non me ne sono accorto subito, anche perché è un po’ difficile vedere il volto di Dio nel viso di una ragazza come Simona, ma, considerando la concatenazione di eventi che hanno portato allo stravolgimento della mia vita e alla mia emancipazione, non ho più dubbi.
A volte mi capita di accorgermi del Suo intervento subito, a volte, tenendomelo sempre in saccoccia, invece no. Comunque, appena me ne accorgo, gli telefono e lo ringrazio.
Sì. Gli telefono, compiendo il segno della croce, lo ringrazio, lo prego per me e gli altri, gli chiedo alcune spiegazioni (a volte anche in maniera irruenta), e, se mi accorgo che quello che avevo considerato un orribile scherzetto è sfociato in qualcosa di buono, gli chiedo scusa.
Cerco di farlo regolarmente, facendo mente locale su quanto mi è capitato durante la settimana.

Ecco, ti ho presentato il mio Dio. Non so se questo è l’approccio giusto da avere con Lui, ma per me è un amico, e pertanto lo tratto come tale.

Ciao!
Sergio