lunedì 25 marzo 2019

PAROLA DI SCRITTORE (1x05): NELLE MANI DI UN FOLLE (Un racconto inedito basato su fatti realmente accaduti - Scritto per Radio SkyLab)


Salve a tutti!... Chi mi conosce da tempo sa che mi piace essere un “testimonial della realtà”, e la vicenda dello scuolabus dirottato alle porte di Milano non poteva certo lasciarmi indifferente.
Così, ho voluto rendere omaggio al coraggio di Ramy e dei suoi compagni, non come cronista ma come scrittore, basandomi sulle notizie fornite dai giornalisti e cercando di dare loro un senso cronologico, narrativo.
Non è stata un’impresa affatto semplice, perché le esigenze di un cronista sono diverse da quelle di uno scrittore, ma spero di esserci riuscito.
Buon Ascolto a tutti! (Sergio Rilletti)
Crema, mercoledì 20 marzo 2019, ore 11, pieno sole
L’attività ricreativa all’aperto che avevano svolto a pochi chilometri dalla loro scuola, si era appena conclusa.
Ramy e i suoi cinquanta compagni si stavano avviando verso lo scuolabus che li avrebbe riportati alla Vailati, la loro scuola media. Ad accoglierli, un volto affabile che loro consideravano amico.
Ousseynou Sy, il conducente senegalese di nazionalità italiana, li fece salire tutti,
(Ramy si piazzò nella penultima fila, accanto al finestrino),
chiuse le porte del bus, e partì.
Accanto a Ramy, di origine egiziana, c’è Riccardo, e, davanti a quest’ultimo, Samir, di origine marocchina. E, assieme a loro e agli altri quarantotto compagni, alcuni insegnanti e una collaboratrice scolastica.
Doveva essere un tragitto abbastanza breve, come era accaduto all’andata; ma, guardando fuori dal finestrino, Ramy si accorse che lo scenario era diverso. Ma dove stavano andando?
A uno svincolo, infatti, lo scuolabus aveva cambiato direzione, immettendosi nella Statale Paullese.
E’ sempre così, il terrore inizia in un attimo.
Ousseynou Sy si fermò, si alzò dal posto guida, e, rivolgendosi a tutti con un coltello, urlò: “Ora andiamo tutti a Linate, qui non scende più nessuno!” E, detto ciò, abbrancò la collaboratrice scolastica per un braccio, e, puntandole il coltello alla gola, le ordinò di legare tutti con delle fascette da elettricista.
Lei eseguì, facendo attenzione a non stringere troppo però.
Dopodiché, quando la donna, coltello alla gola, finì di legare tutti, l’autista, con uno spintone, si liberò di lei e andò a prendere la prima delle tre taniche di benzina che aveva nascosto sotto un telo, e iniziò a spargerla sul pavimento; poi prese la seconda, colmò tutti gli spazi che erano rimasti asciutti, anche tra una fila e l’altra, e, col rimanente, impregnò tutte le tendine.

Adam, seduto in una delle ultime file del pullman, tentò di telefonare ai suoi genitori, ma l’autista si voltò verso di lui, che si bloccò; ci riprovò, ma lo sguardo di Sy lo inquadrò ancora. Finalmente, la terza volta, ci riuscì, e avvisò suo padre di quanto stava accadendo.
Nel frattempo, Sy si stava avvicinando, facendosi consegnare da ciascuno il proprio cellulare.
Semir, seduto nella penultima fila accanto a Ramy, valutando che l’autista non lo stesse vedendo, prese il proprio cellulare e lo lanciò sotto il sedile.
Quando Sy arrivò, ordinandogli di consegnargli il cellulare, lui, guardandolo dritto negli occhi, gli disse che l’aveva dimenticato a casa. L’uomo gli credette, completò il giro, e ripartì.
Riccardo, che nel frattempo si era liberato, prese il cellulare di Samir e lo diede a Ramy, che, essendo vicino al finestrino, era comunque meno esposto. Ramy chiamò il 112, e, grazie alla sua padronanza di linguaggio, fece capire al carabiniere in ascolto la situazione e, soprattutto, che non era un film!

Pochi minuti dopo, mentre Ousseynou Sy continuava a guidare verso Linate e a ripetere ai ragazzi che dovevano morire tutti, perché voleva vendicare le migliaia di bambini morti in mare, arrivò un’auto dei carabinieri, partita da San Donato Milanese a seguito della telefonata di Ramy, superò il bus, e gli si mise davanti, zigzagando e compiendo delle manovre per rallentarlo.
Non funzionò.
Ousseynou Sy accelerò, travolgendo l’auto e mandandola fuori strada.
Ne spuntarono altre due, e una di queste si affiancò alla cabina; ma i carabinieri, che erano già pronti a sparare, notarono che Sy impugnava un accendino, e, subito dopo, i ragazzi che si sbracciavano terrorizzati; Sy, sempre con l’acciarino in mano, li avvertì che il pullman era pieno di gasolio. I carabinieri rinfoderarono le armi, ma continuarono a fiancheggiare la cabina del bus e a parlare a Sy.
Nel frattempo, la seconda auto si era avvicinata alla porta posteriore del mezzo, e un carabiniere ne fracassò i vetri per creare una via d’uscita.
Attirato dal trambusto alle sue spalle, Sy si voltò un attimo, giusto il tempo per vedere i ragazzi tentare di sgattaiolare fuori dal bus ancora in movimento; riportò lo sguardo sulla strada, ma ormai era troppo tardi: davanti a lui si era parato un camion, e lui, nella foga di evitarlo, andò a sbattere contro un guardrail.
Appiccò comunque il fuoco e tentò di fuggire, ma i carabinieri lo placcarono subito, ammanettandolo.
Per i ragazzi, invece, solo qualche leggera escoriazione e intossicazione da fumo, risolte subito, nulla di più.

Ora, considerati questi fatti, le forze politiche sembrano tutte concorde, compiuti i dovuti accertamenti, a concedere a Ramy la cittadinanza italiana, accelerando al massimo, a spese del Viminale, le procedure.
Sperando che questo possa accadere, perché un atto di coraggio di questo stampo deve essere premiato in modo eclatante, una cosa è comunque certa: Ramy e i suoi compagni, col loro comportamento, hanno dimostrato, a tutti, cosa sia la vera, unica, autentica, coesione di gruppo!

©Sergio Rilletti, lunedì 25 marzo 2019, ore 17.15, Radio SkyLab, per "PAROLA DI SCRITTORE - CINQUE MINUTI CON SERGIO RILLETTI" - Letto da Stefano Pastorino

martedì 19 marzo 2019

PAROLA DI SCRITTORE (1x04): GRETA THUNBERG COME MACISTE (Un articolo inedito - Scritto per Radio SkyLab)


Salve a tutti!... Quando ero ragazzo guardavo sempre, affascinato, i film che avevano come protagonista un certo Maciste: un uomo fortissimo che, nell’epoca greco-romana, viaggiando, capitava sempre nel posto giusto al momento giusto, prendendo le difese di un paese oppresso e scaraventando interi massi contro gli oppressori.
Una vera manna per me, e penso per chiunque, vedere un uomo solo che alla fine, grazie alla sua forza di volontà, riesce a far smuovere un intero popolo, facendolo ribellare contro il potere.

Figuratevi la mia sorpresa, e la mia immensa gioia, quando ho scoperto, proprio in questi giorni, che Maciste esiste, e vive e lotta in mezzo a noi!
Vabbe’, non ha esattamente il fisico prestante dell’eroe dei film, non è maggiorenne, e non è neppure di sesso maschile. Però esiste!
Si chiama Greta Thunberg, ha 16 anni, è una minuta ragazza svedese, ed è affetta dalla Sindrome di Asperger, che, simile all’autismo, le compromette le interazioni sociali - provocandole comportamenti ripetitivi e stereotipati -, ma facendole rimanere ben saldi sia lo sviluppo cognitivo che la capacità di linguaggio.
Infatti, nonostante il suo handicap, Greta Thunberg è riuscita a creare il Movimento studentesco internazionale Fridays for Future, diventando una leader e un simbolo a livello mondiale.
Ma… come ha fatto?
Semplice. In Svezia la scuola funziona in modo diverso, e Greta Thunberg, l’anno scorso, frequentava il nono anno di un istituto di Stoccolma, ma il 20 agosto 2018, stufa delle eccessive ondate di calore e degli incendi boschivi che stavano imperversando nel suo Paese, e consapevole che l’Accordo di Parigi sul Cambiamento Climatico del 2015 - stipulato poco dopo la chiusura dell’Expo a Milano - era vincolante per tutti i governi del mondo, decide di non andare più a scuola in segno di protesta, piazzandosi tutti i giorni, durante l’orario scolastico, davanti alla sede del Parlamento, lanciando lo slogan “Sciopero della scuola per il clima”.
Ha programmato di farlo fino al 9 settembre 2018, quando ci sarebbero state le elezioni legislative, e l’ha fatto.
Dopodiché è tornata a scuola, mantenendo però la sua forma di sciopero e di protesta sociale il Venerdì, attirando su di sé l’attenzione dei mass media di molte nazioni, dove poi molti ragazzi seguirono il suo esempio - perseguendo il suo stesso obiettivo -, e dando così origine al Movimento studentesco internazionale Fridays for Future (I Venerdì per il Futuro), atto a organizzare manifestazioni per rivendicare azioni preventive contro il riscaldamento globale e il cambiamento climatico, rinunciando alle lezioni scolastiche.
Greta Thunberg ha parlato diverse volte in pubblico, partecipando persino a un importante vertice delle Nazioni Unite.
E Venerdì 15 Marzo 2019 si è tenuto lo Sciopero Mondiale per il Futuro, a cui hanno aderito ben cento nazioni in tutto il mondo, nonché un milione di studenti solo in Italia… sostenuti, con orgoglio, da molti genitori e insegnanti!
A seguito di tale manifestazione, la Commissione Europea ha affermato di aver preso in considerazione le richieste dei giovani e di stare già agendo in tal senso.
E tutto questo, badate bene, grazie a una minuta ragazza svedese, di appena 16 anni, affetta dalla Sindrome di Asperger!

Maciste comparve per la prima volta, col volto e la prestanza fisica dell’attore ligure Bartolomeo Pagano, in Cabiria di Giovanni Pastrone, un film muto del 1914 che si avvale delle didascalie di Gabriele D’Annunzio.
Greta Thunberg non è affatto muta, e con i suoi discorsi ha smosso le coscienze di tutto il mondo, mostrando coi fatti una grandissima verità, che ci coinvolge proprio tutti!... No, non solo quella degli impellenti problemi climatici, ma anche un’altra!
E cioè che tutti possiamo essere diversamente abili!... Basta Solo Volerlo!
©Sergio Rilletti, lunedì 18 marzo 2019, ore 17.15, Radio SkyLab, per "PAROLA DI SCRITTORE - CINQUE MINUTI CON SERGIO RILLETTI" - Letto da Stefano Pastorino

giovedì 14 marzo 2019

PAROLA DI SCRITTORE (1x03): MyLife - PESCI ROSSI E PESCICANI (Un racconto autobiografico - Versione per Radio SkyLab)

Salve a tutti!... Lunedì scorso ho voluto tenervi compagnia con un mio ricordo personale di Andrea G. Pinketts (CLICCA QUI).
La storia che ora ascolterete s’intitola Pesci rossi e pescicani, è un mio racconto autobiografico che ho scritto quando collaboravo con l’Agenzia giornalistica Hpress, ed è uno dei primi racconti che feci leggere a Pinketts e ad Andrea Carlo Cappi, il mio futuro mentore. Un mio racconto dallo stile tipicamente pinkettsiano, che scrissi ancora prima di conoscere lo stesso Pinketts, e che ora voglio riproporre per rendergli un ulteriore omaggio.
Buon Ascolto a tutti! (Sergio Rilletti)

Ora posso dirlo! Ieri, domenica 7 febbraio 1999, la morte mi ha sfiorato, e me ne sono accorto soltanto oggi!

Io generalmente sono contrario alla pesca, soprattutto alla pesca sportiva; anche perché non riesco proprio ad immaginarmi una pesca in tuta da ginnastica mentre fa footing. L’unica pesca che pratico è quella di beneficenza, dove migliaia di bigliettini, tutti accatastati in una boccia di vetro sprovvista d’acqua, attendono pazientemente che qualcuno li sottragga da quella casta ammucchiata. Una volta, partecipando ad una pesca di beneficenza, vinsi un pesciolino rosso in un sacchetto pieno d’acqua; ma queste, si sa!, sono le straordinarie coincidenze della vita.
Esattamente come quelle coincidenze che fanno evitare la lenza ad un pesce, per farla abboccare ad un altro.

Ero andato al Casinò De La Valle di Saint-Vincent con l’intenzione di giocare alla roulette (rigorosamente francese, non russa!), sperando ardentemente che, pescando i numeri giusti, potessi fare un po’ di beneficenza a me stesso.
Percorsi con i miei compagni del Servizio Tempo Libero dell’A.I.A.S. Milano il lungo corridoio verde (il colore della speranza), cercando di captare tutte le sensazioni di quell’irreale silenzio.
Arrivammo in fondo, ai due ascensori. Non eravamo soli: con noi c’erano altre dieci persone, tutte in trepida attesa.
L’ascensore di sinistra arrivò. Lucia, una volontaria, salì con un ragazzo in carrozzina, e, considerata la capienza di 8 persone - come dichiarava il grande cartello posto sopra l’ascensore -, invitò a gran voce altre persone ad entrarvi.
Dopo qualche secondo arrivò quello di destra: quattro persone vi si catapultarono dentro, e, nonostante la loro magrezza, decisero di essere abbastanza obese per non aspettare alcun altro.

Giunto al piano superiore, la mia mente di autore di thriller cominciò a funzionare alacremente: sapevo che in quell’ambiente sfarzoso, in quell’acquario, tutto era finto, e che l’eleganza dei pescatori serviva soltanto a nascondere le dilanianti ferite inferte dai pescicani.
Mi guardai intorno: decine di persone, serissime, che non erano più in grado di vedere la morte in faccia perché era già penetrata nei loro occhi.
Voltando lo sguardo a destra e a sinistra, il mio inconscio decise di premiarmi guidandomi verso l’angelica visione di due hostess, due deliziose biondine in tailleur rosso, due bei pesciolini rossi a guardia di una finta slot-machine che permetteva di vincere, gratuitamente, il portachiavi-ricordo del casinò.
Proseguii, e mi accomodai al tavolo della roulette.
Decisi di pescare non con una canna ma con una rete, puntando su intere serie di numeri. Giocavo con estrema caparbietà; tanto, la Fortuna va a Fortuna, è inutile cercarla altrove. Qualcuno, mi pare Edith, disse che ero il Paul Newman della situazione; in realtà, io mi sentivo come James Bond nel primo (e tragicissimo!) romanzo di Ian Fleming, Casinò Royal.
Imbroccai qualche numero giusto, ma evidentemente pescai anche dei piraňa, che mi divorarono voracemente le maglie della rete. Nella mezz’ora che avevo a mia disposizione persi 60.000 lire. La volta, nonché l’anno, precedente ne avevo perse 100. Quindi, praticamente, questa volta era come se ne avessi guadagnate 40… anche se il mio portafogli si ostinava a darmi torto.

Uscendo dal casinò giocai alla finta slot-machine, concentrandomi più sui due pesciolini rossi che sulla macchina in sé.
Vinsi, e il pesciolino alla mia sinistra mi diede il portachiavi, elargendomi uno splendido sorriso.

Salii in ascensore con Mariangela, la mia deliziosa assistente di quella giornata. Entrarono un presunto padre con un altrettanto presunto figlio.
Il padre - alto, capelli tagliati molto corti, baffi castani, e camicia a mezze maniche tra il rosa e l’arancione - ci salutò cordialmente; il figlio, no. Il figlio, un maggiorenne (visto l’ambiente) con la faccia da adolescente, laccato e vestito di tutto punto in un rigoroso abito nero, fissava, serissimo e impassibile, l’aria davanti a sé: nei suoi occhi, sagome di pescicani continuavano a vagare avanti e indietro senza sosta.
La mia perversa mente di autore di thriller stava galoppando, facendomi immaginare padre e figlio sconfitti e debitori di una cospicua somma di denaro che dovevano racimolare (e restituire!) al più presto.

La cronaca di oggi, lunedì 8 febbraio 1999, ha preceduto qualsiasi mia fantasia: ieri sera, poche ore dopo la nostra partenza, il Casinò De La Valle di Saint-Vincent è stato teatro di un altro tipo di pesca. Una pesca brutta, cattiva, violenta.
Una pesca di pescicani.
Una pesca di strozzini.
Una pesca marcia.
Una pesca andata a buon fine, compiuta non con una rete ma con una canna. Una canna calibro 9.


©Sergio Rilletti, lunedì 11 marzo 2019, ore 17.15, Radio SkyLab, per "PAROLA DI SCRITTORE - CINQUE MINUTI CON SERGIO RILLETTI" - Letto da Stefano Pastorino

mercoledì 6 marzo 2019

PAROLA DI SCRITTORE (1x02): MyLife - IO E ANDREA G. PINKETTS: 21 ANNI SENZA FOTO (Un mio ricordo personale - Scritto per Radio SkyLab)


Salve a tutti!... Mi sembra incredibile, ma, dopo 21 anni di amicizia con Andrea G. Pinketts, mi sono accorto di non avere una foto da solo con lui.
Ho molte immagini video, tratte dalle presentazioni di libri che abbiamo fatto insieme, e pure alcune foto, dove però siamo ritratti con altri; ma una foto solo con me e lui, no, non ce l’ho proprio.
Eppure la sera in cui ci conoscemmo, il 27 novembre 1997, un fotografo ce la fece subito, appena entrammo al Boulevard Café di Milano; ma poi né io né la mia amica Federica, che fu fondamentale nel tessere i miei primi rapporti con Pinketts, avemmo il coraggio di chiedergliela.
Io lo so che, in questo mio ricordo, tralascerò tantissime cose, ma, pur non essendo un pittore, spero comunque di delineare un quadro vivido di questo bel soggetto.

Innanzitutto, il mio primo incontro con Pinketts lo si deve soprattutto a un mio errore… e alla grande disponibilità di Pinketts verso gli altri.
Infatti, un giorno, leggendo frettolosamente la IV di copertina de Il senso della frase - un autentico ottovolante di giochi di parole con cui Pinketts vinse il Noir in Festival di Courmayeur -, capii che Pinketts avesse fondato una reale Scuola dei Duri a Milano… esattamente come Alessandro Baricco aveva fondato la sua Scuola Holden a Torino. Così, insieme a Federica, telefonai alla Feltrinelli chiedendo informazioni; e loro, spiegandomi che la Scuola dei Duri era in realtà un Movimento letterario, mi diedero subito, senza neanche bisogno di chiederlo, il numero di telefono di Pinketts!... Un fatto sorprendente, impossibile senza la sua diretta autorizzazione, che mi dimostrò subito, ancora prima di conoscerlo, la grande disponibilità di Pinketts verso il prossimo!
E fu così che cominciai a frequentare il suo celeberrimo Seminario tra Giallo e Bar, ovvero delle spassose serate culturali, di presentazioni di libri, che conduceva assieme ad Andrea Carlo Cappi, che poi diventò il mio mentore.

Poi, nel corso degli anni, la nostra amicizia si rafforzò; complice anche la città di Celle Ligure dove Andrea G. Pinketts e Daniele G. Genova fondarono un loro fan club al Charly Max, un locale storico, chiuso solo di notte, ora ben gestito da una coppia di miei amici.
Io andavo a trovarlo lì, da solo con la mia carrozzina elettrica; e, anche se lui non mi capiva quando parlavo, riuscivo comunque a comunicargli la mia stima e la mia vicinanza, che lui, con poche parole da “duro dal cuore di meringa” - come l’aveva definito Fernanda Pivano -, ricambiava.

Pinketts non era solo un pirotecnico autore di noir, vincitore tra il 1984 e il 2006 di una marea di premi, e insignito di un’alta onorificenza per meriti letterari in Francia, ma è stato anche un modello, un coraggioso giornalista investigativo (contribuendo, tra l’altro, all’incriminazione della Setta dei Bambini di Satana), un finto disabile e un finto barbone (sempre per fini giornalistici), un attore, un poeta (introducendo tutti i suoi romanzi con una poesia), e un conduttore televisivo (Videoparade, di Joe Denti, è il programma in cui lo notai).
Inoltre ha curato L’Enciclopedia dei Serial Killers, ha scritto una canzone per il libro/cd Liscio assassino della Banda Putiferio, dal suo romanzo Fuggevole turchese ha tratto il musical teatrale Orco Loco, interpretato da Francesco Baccini… col quale poi ha interpretato il film Zoe di Giuseppe Varlotta; la canzone L’acchiappanani di Baccini è ispirata all’omonimo racconto di Pinketts, mentre Claude Chabrol avrebbe voluto trasformare il suo romanzo Il conto dell’ultima cena in un film.
E infine, Pinketts, scrisse un racconto per me; per Capacità Nascoste – La prima antologia diversamente thriller che curai con Elio Marracci, in cui affrontò il tema della disabilità con grande umiltà, attraverso un thriller paradossale intitolato Lalalalala Làlàlàlàlà, chiedendomi più volte, anche per telefono, se andasse bene. E dedicandomelo ufficialmente, tempo dopo, quando lo ripubblicò nel suo libro Ho una tresca con la tipa nella vasca.

Io, Pinketts, e l’inossidabile Andrea Carlo Cappi, facemmo molte presentazioni insieme, sia di Capacità Nascoste sia del mio libro Le avventure di Mister Noir, sfidando, con discreto successo, persino una serata del Festival di Sanremo!... E quando invece ero semplicemente tra il pubblico… Pinketts trovava il modo di coinvolgermi comunque!

Ora Pinketts non c’è più, il 22 dicembre scorso l’enorme Chiesa di Sant’Eustorgio a Milano era gremita di affetto e gratitudine. E domenica 17 febbraio, a Ispria, gli è stato conferito, purtroppo postumo, il Premio Mario Berrino alla Carriera; e ora è in corso una petizione on-line, sostenuta a furor di popolo, per iscrivere Pinketts al Famedio di Milano, dove riposano i Grandi.
E, a proposito della sua Grandezza di spirito, non posso concludere questo mio ricordo senza citare una sua fulminante battuta, che lui stesso amava ricordare spesso. Infatti, una sera, durante un’intervista che gli feci al Boulevard Café per conto dell’Agenzia giornalistica Hpress - assieme a Federica -, a proposito della disabilità lui mi disse: “Tra me e te, il vero disabile sono io; perché tu capisci tutto quello che dico io, mentre io ho bisogno della tua amica per capire quello che dici tu!”.
Che dire? Davvero un Grande!

©Sergio Rilletti, lunedì 4 marzo 2019, ore 17.15, Radio SkyLab, per "PAROLA DI SCRITTORE - CINQUE MINUTI CON SERGIO RILLETTI" - Letto da Stefano Pastorino