sabato 17 marzo 2018

MISTER NOIR: VOLI PINDARICI (Un racconto - Versione originale 2013)



Dirotta su Cuba!
Quante volte aveva sentito questa frase. No, non nei film; e neanche nella realtà, per fortuna; ma era una frase talmente entrata nel lessico scherzoso e nell’immaginario collettivo che ormai, secondo lui, aveva assunto una funzione ben augurale - un po’ come dire In bocca al lupo! o, parafrasando un altro detto, Fai da supposta alla balena! -, ma concepita specificatamente per i viaggiatori in aereo.
Peccato, però, che nessuno gliel’avesse detta prima che partisse!...
Già, erano questi i pensieri di Mister Noir, celebre investigatore privato di Milano, mentre se ne stava comodamente seduto su una bella poltrona dell’aereo, immediatamente a destra del corridoio. Lui avrebbe preferito stare vicino al finestrino, a godersi il panorama delle Alpi e dell’oceano, ma, per motivi di sicurezza e per comodità del personale, aveva acconsentito. D’altronde loro, quelli del personale, lasciandosi ingannare dalla sua evidente disabilità, non potevano certo immaginare che razza di capacità fisiche avesse!
Così, si era lasciato accomodare, sprofondando nella poltrona, il cui comfort era molto diverso da quello della sua carrozzina.
Si assestò, rilassandosi, ben consapevole di essere sul volo più sicuro al mondo, dato che nessuno poteva intimare al pilota il mitico Dirotta su Cuba!... essendo già diretto a Cuba.
Che poi, chissà perché questa esortazione è diventata così di pubblico dominio?!... Anche ammesso che sia mai stata pronunciata, l’avranno detta direttamente al comandante, non avranno certo fatto il passaparola tra i passeggeri e le hostess fino ad arrivare a lui!
L’unica cosa certa è che Cuba, di cui conosceva direttamente solo il cuba libre, lo intrigava molto. Non tanto per i cubani, che peraltro non fumava, e neanche per le cubiste, che comunque si trovavano a Milano, ma per il clima, il diverso modo di vivere che gli aveva più volte raccontato Elena Fox, la sua assistente-detective che lo aiutava nelle indagini, di ritorno da qualche sua vacanza. Allegria, spensieratezza, e incredibile ospitalità: erano queste le tre parole magiche che trasformavano un popolo che viveva in povertà, in un luogo leggendario: mitico seppur reale. Un popolo che, nonostante le proprie condizioni, sembrava perennemente vivere a ritmo di salsa, bachata, e merengue.
In questo senso anche lui, Mister Noir, si sentiva un po’ cubano. E non nel senso del sigaro!... Affetto da tetraparesi spastica, che lo ostacolava grandemente nei movimenti e nel linguaggio senza però renderlo né paralizzato né muto, affrontava la vita come un panzer, elargendo il suo aiuto a chi glielo chiedeva (a pagamento, naturalmente), tuffandosi a capofitto nei misteri e nei meandri della città.
Una vita che si era scelto, che poteva fare proprio perché viveva in casa propria, dove non dipendeva dalle capacità o dalle bizze di educatori e strutture sociali,  esterni alla sua vita, ma solo dalla sua capacità di organizzarsi con chi lo aiutava. Era ricco, questo sì, ma soprattutto aveva trovato Consuelo Gomez, una donna filippina che aveva deciso di vivere con lui come domestica e badante; anche se, ovviamente, Mr. Noir sapeva badare benissimo a se stesso!
Era un privilegiato, lo sapeva. A parte qualche disabile particolarmente tosto, che era riuscito a vivere da solo - la cui esperienza veniva esaltata e osteggiata al tempo stesso dai medesimi operatori, che sostenevano, mentre ne esaltavano il risultato, che fosse un progetto irrealizzabile -, la maggior parte delle persone con disabilità era costretta a vivere in comunità, modificando più o meno radicalmente le proprie abitudini, dipendendo da cooperative e strutture esterne che, anche se funzionavano bene, ad un certo punto, causa nuova gara d’appalto, potevano cambiare.
Un concetto inammissibile per Mister Noir che, come tutti, voleva essere padrone della propria esistenza.
E questo tralasciando i suoi pensieri sugli educatori, la maggior parte dei quali, pur costando più di una badante filippina, sarebbe da rieducare completamente, con grande costanza e pervicacia, al rispetto delle persone e all’onestà d’animo. E, con loro, bisognava fare lo stesso con i volontari, che, per quanto possano essere bravi e simpatici, a parte qualche sporadica eccezione li seguono pedissequamente, rifiutandosi categoricamente di ragionare, fedeli a chi manco li paga; anche a costo di perdere, irrimediabilmente, la fiducia e l’affetto di chi, come le persone disabili, aveva concesso loro.
E, perdipiù, tutte queste rieducazioni altrui avrebbe dovuto farle pure gratis!
No, no, meglio così. E sinceramente sperava che, prima o poi - più prima che poi, naturalmente! -, le istituzioni italiane si decidessero ad aiutare le persone con disabilità che, come lui, vorrebbero continuare a vivere la propria vita a casa propria.
Ma ora basta con questi pensieri.
Il lungo momento di relax che si stava concedendo ora, in aereo, era proprio quel che ci voleva.
Relax!
Sì, era proprio bello rilassato, quando un giovane dai capelli castani si alzò di scatto dal proprio posto avvicinandosi a lui, e, puntandogli una pistola alla tempia, rivolgendosi alla hostess berciò quello che nessuno si sarebbe mai aspettato di sentir dire. “Dirotta su Bergeggi!”
“Cosa???”
“Di’ al capitano di dirottare su Bergeggi, altrimenti gli sparo!”
“V-va bene” balbettò la ragazza, prima di sparire nella cabina di pilotaggio.
“Sei spaventato, vero?” sibilò con acredine all’handicappato.
Alcuni passeggeri urlarono, altri si ritrassero dietro ai sedili, mentre il giovane cominciò a cantare a squarciagola Gelosia, il brano che nel 1995 portò al successo, facendolo volare in cima alle classifiche, il complesso dei Dirotta su Cuba.
Il giovane, invece, aveva ben altri complessi.
Il detective rimase impassibile: ruotando solo gli occhi verso il ragazzo guardò di sbieco lui e l’arma.
Gli bastarono due secondi per capire bene la situazione. Chiuse un momento gli occhi, spazientito: quello non era un terrorista, era un demente!
Un demente che, però, stava terrorizzando cinquanta persone; quindi, doveva essere fermato.
La hostess riapparve: con gli occhi dilatati, rigida, e quasi senza respirare.
Certo. Mister Noir, nonostante le sue notevoli difficoltà, avrebbe potuto tentare di parlarle per rassicurarla, ma dubitava che il mentecatto gliel’avrebbe permesso. E la situazione sarebbe potuta peggiorare.
Così, decise di lasciar perdere la complicata via della locuzione verbale, e di compiere, invece, una di quelle azioni che, quando poi venivano descritte dal suo biografo, alcuni lettori pensavano fossero irreali. Con la sola mano sinistra: prima gli sferrò un pugno nello stomaco da farlo piegare in due, poi lo colpì sul polso (facendosi cadere l’arma in grembo), e infine lo abbrancò per il coppino e gli sbatté la testa sullo schienale davanti a sé facendolo crollare a terra, supino e dolorante.
Il giovane, steso al suolo, gemeva. Mister Noir, dopo aver aperto e chiuso la mano diverse volte per prepararla al movimento, con una mossa repentina impugnò la pistola, gliela puntò dritta dritta in faccia,
(la hostess dilatò gli occhi, gli astanti emisero degli urletti ritraendosi dietro alle poltrone),
e sparò.
Era una pistola ad acqua.
  

©Sergio Rilletti, 2013