giovedì 12 ottobre 2017

DUELLO FATALE (Un racconto western)

Illinois, 1866
Ecco, il momento era arrivato. D’ora in poi niente sarebbe stato più lo stesso.
Jack e Martin erano uno di fronte all'altro. Camminavano lentamente, pistole alle cintole. Ai due lati del vicolo, incollati alle pareti delle case, i loro compagni di mille scorrerie e violenze. E, assieme a loro, due testimoni immobili e silenziosi attendevano quel duello con profonda e crescente angoscia.
Jack e Martin si avvicinarono, gli occhi fissi negli occhi.
Lo sguardo di Jack era di pietra, ma il suo sangue ribolliva di rabbia: Martin, il suo grande amico, l’aveva tradito; poteva aspettarselo da tutti, ma da lui no. Non dopo tutto quello che avevano trascorso insieme.

Si erano conosciuti anni prima, nel campo di prigionia nordista Camp Douglas, vicino a Chicago; un posto infernale, dove erano sopravvissuti mangiando ratti e cani per sopperire al rancio che, spesso, veniva loro negato. E, in quel luogo maledetto, condividendo freddo fame e frustrazioni, erano diventati amici, sostenendosi a vicenda: la rudezza di Jack confortava Martin nei momenti più bui, e la calma di Martin placava l'irruenza di Jack.
Sì, loro erano tra i pochi che ce l'avevano fatta, che non erano diventati cadaveri venduti ai gabinetti medici per essere esaminati; e, a guerra conclusa, avevano formato una banda: venti uomini forti e privi di scrupoli, coi quali terrorizzavano tutti gli Stati dell’Unione, depredandoli dei loro averi come il loro esercito li aveva depredati della dignità.
Sì, Jack aveva una venerazione per Martin, lo considerava il suo miglior amico; e l’aveva voluto al suo fianco nel comando. Ufficialmente erano loro i capi, ma era Jack il più carismatico; e quando lui e Martin non erano d’accordo, era sempre Martin a dover cedere.
Ma poi, un giorno, dopo l’ennesima discussione per il piano d’un colpo in banca, Martin decise di agire di testa sua: riunì tre compari della banda, e organizzarono una rapina senza dirlo a Jack.
La rapina andò bene, ma i tre compari dimostrarono un eccessivo entusiasmo con i propri compagni; Jack non gradì la situazione che si era creata alle sue spalle, e, quella stessa notte, tese loro un agguato e li freddò con tre colpi.
All’eco dei tre spari, Martin e tutti i compari della banda si riversarono in strada. Trovarono solo i tre cadaveri, ma l’assassino non ebbe alcun problema a comparire subito alle loro spalle.
Con tono glaciale Jack accusò Martin di essere un infame traditore, e gli mollò un gran ceffone che lo fece crollare a terra. “Finché siamo nella stessa banda dobbiamo prendere le decisioni assieme. Non possiamo permettere che un piccolo gruppo di balordi metta in pericolo tutti noi.”
“Sei un bastardo.”
“Se non t’ammazzo è solo perché, per qualche strana ragione, sono ancora affezionato a te.” Si fermò un momento; sapeva di aver intrapreso una strada senza uscita, che c’erano alcuni uomini affezionati a Martin; ma, proprio per questo, non poteva rischiare di spaccare la banda a metà. “Vuoi andartene? Pensi che uno di noi due sia di troppo?” Allargò le gambe, andando fino in fondo. “Bene: facciamo un’ultima rapina, e poi sistemiamo questa faccenda.”
La costernazione fu rumorosa e totale, ma Jack aveva già le idee chiare.

Il giorno dopo, il sole picchiava tosto; sulla diligenza erano solo in quattro: due giovani italiani, Mario e Franco, uno di fronte all’altro, e le loro giovani donne, Kate e Jennifer.
Mario e Franco non si conoscevano, ma le loro esistenze si incrociavano. Erano di Genova e di Verona, ed erano emigrati in America, sei anni prima, in cerca di fortuna e avventura. Quando scoppiò la guerra tra gli usa e gli Stati Confederati d'America, ovvero tra nordisti e sudisti, avevano deciso di arruolarsi come volontari. Giuseppe Garibaldi aveva rifiutato l’invito di Lincoln di comandare un corpo d’armata dell’esercito dell’Unione, sostenendo il liberismo degli Stati del Sud e preferendo, quindi, rimanere neutrale; ma loro, Mario e Franco, erano giovani e non potevano certo rimanere neutrali: combatterono, senza saperlo, in due fazioni nemiche; come molti giovani italiani della Louisiana, d’altronde, che si erano ritrovati divisi dall’ideologia in due battaglioni contrapposti.
Mario incontrò lo sguardo di Franco, e lo distolse subito. Non gli piaceva fare conversazione con gli estranei: la guerra era finita da poco, e, ora che tutti vestivano abiti civili, non sapeva mai se aveva davanti un Unionista o un Confederato.
Lui aveva combattuto per la liberazione dei negri dalla schiavitù sudista, ma durante la spedizione guidata dal colonnello Grierson per far saltare il nodo ferroviario tra Newton e Vicksburg, aveva visto alcune serve negre nelle abitazioni dei benestanti, e non sembravano affatto scontente della propria condizione; però, per gli schiavi che lavoravano nelle piantagioni di cotone, probabilmente era ben diverso. Ed era per questo che si erano sobbarcati quella lunga ed estenuante marcia, sopportando freddo fame e stenti, inoltrandosi per trecento miglia in territorio nemico: per infliggere un duro colpo ai sudisti, che osavano usare i negri come schiavi per incrementare più facilmente la propria economia.
Mario prese la mano di Kate, e gliela strinse con delicatezza; lei lo guardò, e i due ragazzi si sorrisero, trasformando tutto quello che li circondava in un unico quadro d'amore.
Franco distolse lo sguardo, guardando fuori dal finestrino, sorridendo.
Anche lui era a disagio a parlare con gli estranei.
Aveva combattuto, con l’esercito sudista, per la difesa di Petersburg, lottando contro i bastardi yankee che la tenevano sotto assedio. Brutti bastardi, si imbellettavano con le loro giacche blu, le stesse con le quali avevano massacrato i nativi di quel continente, declamando slogan contro la schiavitù, mentre in realtà si erano mossi solo per motivi economici: perché non potevano ammettere che gli Stati della Confederazione, molto meno sviluppati industrialmente, potessero far loro concorrenza. E la notte del 30 luglio di un anno prima, lui e i suoi compagni li avevano massacrati: quei bastardi erano precipitati nel cratere che loro stessi avevano creato facendo saltare in aria parte della guarnigione a cui lui apparteneva: subito dopo l’esplosione, i nordisti erano partiti all’assalto, ma erano precipitati nella loro stessa trappola. E il massacro fu totale.
Jennifer gli strinse delicatamente una spalla; lui le prese la mano, ma non si voltò: era ancora troppo immerso nei suoi pensieri.
Degli spari risuonarono nell’aria, squarciando pensieri e quadri d'amore.
La diligenza si fermò, e davanti al finestrino degli uomini comparve un bandito, cappello bianco e fazzoletto scuro sul volto, mentre sull’altro lato comparve un altro bandito, dal cappello nero, a piedi. “Scendete!” ordinò quest'ultimo, spalancando lo sportello e tenendoli sotto tiro.
“Anche tu, cocchiere!” ordinò quello col cappello bianco. Il cocchiere obbedì e si unì ai quattro malcapitati.
Ora erano tutti in fila: Mario, Kate, Jennifer, Franco, e il cocchiere.
C’erano altri due banditi, che scesero da cavallo e li depredarono in fretta di tutti i loro averi.
L’uomo dal cappello scuro prese il lembo inferiore del fazzoletto, e si scoprì il volto.
Martin e gli altri due compari seguirono l'esempio di Jack. I quattro ragazzi rimasero scioccati da quell’intraprendenza, e sui loro volti cominciò a delinearsi il vero terrore. Il cocchiere cominciò a sudare e a tremare.
I quattro sgherri risero sguaiatamente.
“Bene. Signore e signori,” disse Jack, inclinando leggermente la testa a sinistra e a destra, “abbiamo finito. Avete visto come siamo stati veloci? Grazie per la collaborazione!” Si fermò un momento; poi, facendo udire bene il gracchìo del cane della pistola che stava armando, disse: “E ora datevi il bacio d’addio”.
Kate spalancò i suoi bellissimi occhi azzurri, sprigionando in un colpo solo tutto lo stupore e lo smarrimento dei quattro ragazzi.
“Avanti!” incalzò Jack.
Kate, con la bocca tremante per la paura e la passione, si voltò verso Mario, che le cinse la vita e la baciò con fervore. Franco prese il capo di Jennifer tra le mani, e cominciò a darle tanti piccoli baci sulla bocca.
“Ehi, tu! Non hai nessuno da baciare?!” urlò Jack al cocchiere.
L’incanto finì. I quattro giovani si ridestarono, girandosi, spaventati, verso il bandito.
“Già finito?” esclamò lui restituendo lo stupore. “Okay!” E sparò tre volte, fulminando Kate, Jennifer, e il cocchiere.
Mario e Franco caddero in ginocchio, e piansero disperatamente sui cadaveri delle loro donne.
A un cenno del capo di Jack, i due banditi si avvicinarono a loro, stordendoli col calcio della pistola e caricandoli di traverso sui cavalli.
I quattro banditi ripartirono al galoppo. Jack e Martin, in testa, si scambiarono uno sguardo d’intesa, un misto di rancore e complicità. La loro amicizia era giunta al termine: quello era stato il loro ultimo colpo, quello era il loro ultimo momento assieme. Tra poco si sarebbero sfidati a duello, davanti a tutti; quello sarebbe stato il loro fatale addio.
Ed entrambi lo sapevano.

Ora il momento era arrivato.
Jack e Martin fecero qualche altro passo.
Nessuno fiatava. Tutti i loro compari erano immobili e silenziosi.
Come i due angosciati testimoni, d’altronde.
Jack e Martin si fermarono, uno di fronte all'altro, a pochi metri di distanza; fissandosi dritti negli occhi. Avvicinarono lentamente le mani alle pistole. Qualche attimo di immobilità... poi si voltarono di scatto e spararono.
Mario e Franco, i due testimoni di quella sfida, ognuno imbavagliato e legato a una sedia, stramazzarono al suolo, rantolando: uno era stato messo alle spalle di Jack, l’altro alle spalle di Martin, tramutando i due italiani in bersagli umani. Gli sguardi di Jack e Martin saettarono di qua e di là: nessuno dei due era riuscito a colpire il proprio bersaglio in un punto vitale, ma il primo che sarebbe morto avrebbe stabilito chi, tra Jack e Martin, sarebbe stato il nuovo, unico capo, e chi, invece, avrebbe dovuto abbandonare la banda per sempre.


©Sergio Rilletti, 2008