lunedì 18 febbraio 2019

PAROLA DI SCRITTORE (1x01): MISTER NOIR: PORTATORE DI PAZIENZA (Un audioracconto inedito - Letto, per la prima volta, da Stefano Pastorino nel suo programma "NOI" in onda su Radio SkyLab)


Salve, sono Mister Noir: detective privato di Milano. Mi sembra incredibile che riusciate a sentire i miei pensieri tramite la radio; ma, se sta accadendo, vuol dire che è proprio così.
E per fortuna!
Perché, nella vita, c’è chi nasce con la camicia e chi nasce con la carrozzina; io sono nato con la carrozzina, un mezzo di locomozione portatile che va con un insolito carburante: la pazienza.
Mia!
Ora voi state magicamente sentendo ciò che sto pensando, ma di solito, con la mia tetraparesi spastica che mi ostacola molto nei movimenti e nel linguaggio, non è affatto così semplice; anzi: devo entrare in empatia col normodotato, dargli fiducia, e indurlo a continuare il dialogo senza scoraggiarsi mai. Anche se, a volte, il normodotato in questione non capisce proprio un tubo di ciò che dico, e mi fissa.
Ma la pazienza non mi serve solo a questo, ma anche per compiere determinate azioni.

Una sera ero ospite a casa di un amico, e, quando la mattina dopo mi svegliai, cominciai a chiamarlo a gran voce. Non ottenendo alcuna risposta decisi di scendere, pazientemente e a mio rischio, dal letto, per andare a vedere cosa stava succedendo.
La porta era di fronte a me, sulla sinistra, tra una parete laterale e un armadio.
Iniziai a scendere, prima con le gambe, mettendo a dura prova l’elasticità della mia spina dorsale, e poi, ruotando, con il tronco, atterrando di schiena sul pavimento. Mi girai bocconi e strisciai verso la porta incuneandomi tra la parete e l’armadio. Con un movimento da contorsionista mi misi su un fianco, afferrai la porta per lo stipite, e la tirai a me facendo attenzione a non sbattermela in faccia. Semincastrato in diagonale tra la parete e l’armadio, compii dei micromovimenti per abbassare il più possibile la spalla destra e farle superare la porta, aprendola poi completamente. Strisciai fino in cucina. Il mio amico era lì, steso a terra, col cellulare accanto. Mi misi a carponi, e, non potendo certo pensare di farmi capire da quelli del 118, ben volenterosi ma pur sempre dei semplici normodotati, telefonai a sua moglie, che venne subito con i soccorsi.

Ne parlai col dottor Mario Bianchi, un nome che pensavo esistesse solo nei fac-simile dei documenti; non era un medico, ma un bravo giornalista… che in effetti, quando scriveva, curava le parole. Lui mi intervistava, e io rispondevo scrivendo al computer.
C’era solo un problema: era un serial killer di persone con disabilità. E io ero lì per incastrarlo.
Ma questo, abbiate pazienza, ve lo racconterà meglio il mio biografo una prossima volta volta!...

©Sergio Rillettilunedì 18 febbraio 2019, ore 17.15, Radio SkyLab, per "PAROLA DI SCRITTORE - CINQUE MINUTI CON SERGIO RILLETTI" - Letto da Stefano Pastorino

mercoledì 6 febbraio 2019

RAPINA A DOPPIO TAGLIO (Un racconto thriller)


Clotilde non lo sapeva, ma quel giorno, se fosse sopravvissuta, avrebbe avuto una storia da raccontare.
Era un mercoledì mattina, e la banca era quasi vuota, per fortuna. Era lì per riscuotere un assegno, e, a parte lei, c’erano solo i due giovani impiegati - un ragazzo e una ragazza -, le due guardie giurate vicino all’ingresso, e altri sette uomini.
Aveva scelto quella banca, anni prima, perché si era fatta abbindolare dallo spot pubblicitario che declamava “Una banca per amica”. Non poteva certo immaginare che la sua cara amica banca, in realtà, prometteva benessere ma esportava armi e morte.
Clotilde non lo sapeva, ma l’uomo che entrò in quel momento sì.
Era alto e bruno, con i capelli corti, la mascella squadrata e forte, e gli occhi azzurri e penetranti, freddi come ghiaccio liquido.
Entrò lentamente, superando la doppia porta che doveva garantire sicurezza, girando lo sguardo di qua e di là, tenendo una valigetta nella mano sinistra, scrutando tutti con sguardo sicuro.
Uno, Due, Tre, e Quattro, i suoi quattro complici, lo seguirono.
Uno e Due andarono a destra, Tre e Quattro a sinistra, e lui dritto, andandosi a piazzare davanti all’impiegato.
Estrasse la pistola. “Questa è una rapina” disse. “Chiama il tuo capo.”
“Oggi non c’è.”
Gli sparò alla spalla sinistra, e l’uomo cadde all’indietro dolorante.
“Chiamalo” ripeté gelido. Aveva seguito i movimenti della banca per un mese intero, e quindi sapeva che al mercoledì mattina il direttore c’era sempre.
L’uomo si rialzò, tamponandosi la spalla ferita con la mano destra, e scomparve dietro una porta.
Occhi Azzurri consultò il suo orologio, non perdendo di vista l’impiegata, che, credendo di non essere notata, premette l’allarme silenzioso sotto il banco.
Poco dopo, la porta si riaprì, e riapparve l’impiegato sofferente con il banchiere: il bancario camminava a fatica.
“Perché zoppichi? Mica ti ho sparato alla gamba!” E, così dicendo, Occhi Azzurri gli sparò in pieno petto, facendolo stramazzare al suolo.
Appena lo vide, il banchiere lo riconobbe. “Non è possibile: Il Bastardo!”
“Salve, Carogna!” lo salutò Occhi Azzurri. “Non dovevi tradirmi.”
“Tu ti vuoi vendicare per quello che è accaduto dieci anni fa a Euro Disney.”
“Esatto.” E i suoi i occhi balenarono di dieci anni di rancore.

 

Euro Disney, dieci anni prima

Mancavano pochi minuti alle 15, e una gran folla di persone, scalpitanti e festanti, si era già dislocata ai lati di Main Street, la lunga via principale del Magico Regno, inconsapevoli che l’incombente figura di Gambadilegno le stava spiando da lontano.
Di solito, Main Street, era solo una via di transito. Con i suoi bassi edifici da cittadina americana di fine-Ottocento vendeva gadget a clienti di fine-Novecento, andando dalle porte del Magico Regno fino al castello della Bella Addormentata.
Ed era sempre da Main Street che bisognava passare per andare in uno dei quattro quartieri del divertimento: Adventureland, per esplorare giungle e cimentarsi in avventure piratesche; Frontierland, per vivere qualche ora nel leggendario Far-West; Discoveryland, per catapultarsi nello spazio tra alieni, tecnologie avveniristiche, e robot; e Fantasyland, per immergersi nella fantasia più pura, diventando, per qualche tempo, coetaneo di figli e nipotini.
Sì. Di solito, Main Street, era solo una via di transito.
Ma non in quel momento. A pochi minuti dalle 3 del pomeriggio.
Già, perché ogni giorno, due volte al giorno, alle 15 e alle 23, Main Street diventava teatro di un coinvolgente rito pagano: la sfilata dei personaggi Disney.
Le aiuole erano pulite e di un verde smagliante, come nei cartoni animati; e i cowboy, vestiti di scuro e con una palandrana nera svolazzante, pistole ben in vista nei foderi, tenevano libera la strada da bambini troppo impazienti di salutare i propri beniamini, che presto sarebbero passati.
I quattro quartieri del divertimento, ovviamente erano comunque popolati, ma, in quel momento, Main Street era sovraffollata di gente.
Proprio come da programma!
Gambadilegno, da lontano, li stava osservando. Erano davvero in tanti, e tutti coi portafogli belli pieni.
Sarebbe stata la rapina del secolo. I bambini non li avrebbero toccati, ma i portafogli degli adulti sì. Eccome!
E il bello… è che nessuno si sarebbe accorto di nulla!
Avrebbero pensato che fosse uno scherzo, che facesse parte dello spettacolo!
E così lui, Trudi, Macchia Nera, e i tre giovani componenti della Banda Bassotti, avrebbero depredato tutti!
Gambadilegno si stava pregustando la scena, e, anche sotto la maschera, sogghignò.
Trudi lo strattonò: era ora di mettersi in fila con gli altri.
La parata cominciò. Tutti i vip disneyani, sia buoni che cattivi, sfilavano davanti ai loro piccoli fan al festoso ritmo della Marcia di Topolino.
Tutti gli spettatori li acclamavano calorosamente. Le eroine e le principesse si prodigavano in mille saluti e sorrisi, da una parte e dall’altra, mentre gli eroi “maschi” stringevano le mani dei loro piccoli fan.
Tutto stava procedendo bene, con qualche adulto che si tratteneva a stento dall’andare ad abbracciare Paperino o Cenerentola, quando arrivò il gruppo dei ‘cattivi’, che, in quell’occasione, celava le identità di un vero gruppo di cattivi.
La rapina iniziò. Macchia Nera, Gambadilegno con la sua compagna Trudi, e la Banda Bassotti, armi in pugno, entrarono in azione. Doveva essere un lavoro semplice e redditizio, studiato nei minimi particolari; nessuno doveva farsi del male. Assolutamente nessuno!
Dentro i costumi dei criminali disneyani, La Carogna, Il Bastardo con la sua compagna Esmeralda, e altri tre complici, cominciarono a intimare alle persone di svuotare i loro portafogli. Le armi erano vere, ma, in mano a quei fantasiosi personaggi iper-sorridenti, sembravano comunque finte; e mamme, papà, zii, e nonni, convinti che fosse una burla, erano ben contenti di tirare fuori i propri soldi per partecipare attivamente a quello spettacolo.
Tutto come previsto!
O quasi.
Dal fondo della fila, Topolino, rigorosamente vestito in smoking, Pippo, e il Commissario Basettoni, si fecero largo tra i compagni e si catapultarono sui malviventi: ruzzolarono tutti a terra, tra lo stupore degli spettatori, grandi e piccini.
Topolino, saltando, sferrò un paio di ganci alla mascella di Gambadilegno, che indietreggiò barcollando. Il Commissario Basettoni lo placcò da sinistra: rovinarono a terra, e cominciarono a rotolare avanti e indietro. Gambadilegno recuperò una pistola, ma Basettoni gli afferrò il polso.
Pippo si muoveva saltellando da una parte all’altra, in una comica danza per bloccare il passo a Trudi, mentre la Banda Bassotti doveva vedersela con gli oscuri cowboy che, armati solo di pistole-giocattolo, li prendevano ripetutamente a cazzotti.
Echeggiarono tre spari, e la gente, finalmente, si terrorizzò, e scappò via in tutte le direzioni, urlando.
Gambadilegno e il Commissario Basettoni continuavano a rotolare. La pistola del rapinatore aveva sparato tre colpi, che però, per fortuna, erano andati a vuoto.
Però non era finita. Durante la colluttazione, il Commissario Basettoni s’impossessò della pistola di Gambadilegno, e, mentre rotolavano, partì accidentalmente un altro colpo. Fatale.
Un lancinante urlo femminile squarciò l’aria: Trudi era stata colpita alla schiena.
E con lei, Esmeralda.
Gambadilegno si paralizzò, e Basettoni non ebbe difficoltà a disarmarlo e ad alzarsi. Si tolse la maschera. “Comandante Poulin, della gendarmerie di Parigi” si presentò mentre toglieva la maschera al Bastardo e gli ammanettava le mani dietro la schiena. “La dichiaro in arresto per rapina a mano armata.”
L’agente travestito da Pippo tolse la maschera a Trudi, scoprendo il bel volto di Esmeralda e constatandone la morte.
Gli occhi azzurri del Bastardo erano colmi di lacrime. A pochi metri da lui, la sua adorata Esmeralda era morta.
Ma cos’era successo?
Mentre il comandante Poulin lo alzava e lo accompagnava fuori dall’ex parco di divertimenti, dove c’erano le volanti che li attendevano, Il Bastardo si guardò intorno e valutò la situazione. Esmeralda era stata uccisa, i tre complici che componevano la Banda Bassotti non reagivano più; ma La Carogna?
Dov’era La Carogna?
Mentre contemplava lo sfacelo di quella rapina, che avrebbe dovuto essere divertente e facile facile, come un gioco da bambini, la verità gli piombò nitida nella mente e nel cuore.
La Carogna li aveva traditi. Ed era riuscito a fuggire!
Il cuore gli si gonfiò, pronto ad esplodere.
Non poteva crederci! La Carogna, il suo grande amico sin dai tempi dell’infanzia, l’aveva tradito. Avevano condiviso tante cose insieme, dall’adrenalina che fuoriusciva col sangue delle vittime alla poesia struggente che sapeva infondere un tramonto.
C’era solo una cosa che non avevano potuto condividere: l’amore di Esmeralda.
Era quella la differenza che li separava: Esmeralda amava solo Occhi Azzurri, nel quale vedeva anche un altro uomo, diverso da quello spietato che compiva rapine.
E La Carogna, roso dall’invida di quell’amore che non poteva avere, doveva aver fatto una telefonata anonima alla polizia, avvertendola… e permettendo quindi l’uccisione di Esmeralda.
Poco importava chi aveva premuto il grilletto. Se La Carogna non avesse tradito, Esmeralda non sarebbe morta.
Mentre si avvicinava alla volante, Il Bastardo sapeva che non aveva scampo, che sarebbe stato condannato. Ma sapeva anche che il germe che La Carogna aveva seminato nel suo animo stava già germogliando, e quando sarebbe stato rilasciato, presto o tardi, si sarebbe vendicato.

Milano, oggi

Lo sguardo della Carogna si fissò in quello di Occhi Azzurri; solo per un attimo, però, perché poi l’ululato di una sirena della polizia catturò l’attenzione di entrambi.
“Sono il commissario Torsi” latrò una voce maschile da un megafono. “Il palazzo è circondato! Non fate sciocchezze!”
Occhi Azzurri sogghignò. Tutto come previsto!
Posò la valigetta a terra, si infilò il passamontagna che aveva in tasca, andò verso la porta, e la socchiuse. “Non si preoccupi, Signor Commissario, è tutto sotto controllo. Nessuna sciocchezza: o ci darete un’auto bella nel giro di un quarto d’ora o vi daremo un ostaggio morto ogni minuto che passa in più. A voi la scelta!” E richiuse la porta.
Mise il silenziatore alla pistola, e, compiendo mezzo giro in senso antiorario, sparò prima ad una guardia e poi all’altra, eliminando due esseri del tutto inutili per il suo piano.
“Tutti a terra” ordinò calmo.
Gli ostaggi obbedirono. Solo La Carogna e l’impiegata rimasero in piedi, al di là del banco. Occhi Azzurri si diresse verso di lui, levandosi il passamontagna e rimettendoselo in tasca, ma parlò a lei. “Ehi, bella, guarda che lo so che sei stata tu a premere l’allarme silenzioso.” E, prima che la ragazza potesse dire qualcosa, la freddò.
Riprese la valigetta, e si rivolse a lui. “Ora noi andiamo di là, e tu riempirai questa valigetta di denaro. Chiaro?”
“E’ piccola. Ti accontenti.”
“Sai come si dice: Chi si accontenta, gode!. E io, alla fine, godrò.”
La Carogna lo guardò, ostentò in un mezzo sorriso di beffarda superiorità, e si avviò verso la porta da cui era entrato, seguito dal Bastardo che lo teneva sotto tiro.
Intanto, Uno, Due, Tre, e Quattro, tenevano a bada gli altri ostaggi.
Clotilde, sdraiata, guardava il suo compagno di sventura accanto lei, con gli occhi pieni di lacrime e i brividi che le scuotevano il corpo. L’uomo e la donna si guardavano: negli occhi dell’uno si rispecchiava il terrore dell’altro. Nessuno dei due poteva dimenticare che quell’uomo dagli occhi azzurri aveva ucciso a sangue freddo quattro persone, tre delle quali senza alcun motivo.
In realtà, un motivo per quelle uccisioni c’era. Ma se Clotilde l’avesse saputo, si sarebbe terrorizzata ancora di più.

Il commissario Torsi era rimasto impietrito. Non gli era mai capitato nulla di simile. Di solito, il suo punto di forza era la contrattazione, il dialogo: parlando con i sequestratori riusciva a capirli, a prendere tempo, e a giungere alla conclusione senza vittime.
Era un suo punto d’orgoglio.
Ma l’uomo che si era affacciato alla porta aveva concesso pochissimo tempo. E non ammetteva repliche.
Per la prima volta nella sua carriera, il commissario Torsi si sentì spaesato. Tutto il mondo attorno a lui era stato avvolto in un’ovatta, non gli apparteneva più.
Tentò di ragionare. L’uomo incappucciato aveva parlato al plurale, quindi non era solo. Sì, ma in quanti erano? Da lì era impossibile vedere l’interno della banca. Per riuscirci avrebbe dovuto andare fin quasi col naso attaccato ad una delle due grandi finestre ovali, protette da inferiate, e aguzzare bene la vista; ma non era affatto detto che, al di là delle finestre, non avrebbe incrociato lo sguardo di qualcuno, messo lì di guardia, pronto a sparargli.
Il commissario Torsi fu costretto a rivolgersi ad un agente lì vicino, pronunciando una frase che non avrebbe mai pensato di dover dire: “Chiamate i rinforzi, e tenetevi pronti ad intervenire!”.

“Come mi hai trovato?” disse La Carogna mentre, nel caveau, richiudeva la valigetta del Bastardo, ormai piena.
“Ti ho trovato a Mindanao, nelle Filippine. Sai?, dopo il tuo scherzetto a Euro Disney sono stato condannato a cinque anni. E cinque anni chiuso in prigione, dopo che hai perso la donna che ami, ti marchiano a fuoco, ti incattiviscono.” Si interruppe un momento. “Esmeralda era bella, e mi amava. Non dovevi ucciderla.”
“Non l’ho uccisa io, il commissario Basettoni l’ha uccisa.”
“I poliziotti l’hanno uccisa perché tu hai fatto la spia.” Lo guardò fisso negli occhi. “Tu, in quel momento, hai ucciso una parte di me: la parte che voleva cambiare. Io ti sarei rimasto sempre amico, anche se avessi cambiato vita con Esmeralda, lo sai; ma tu… Ma tu hai rovinato tutto!”
La Carogna deglutì, Il Bastardo continuò. “Uscito di prigione sono diventato un avventuriero, un mercenario al servizio del miglior offerente. Mi arruolai nell’esercito di Manila, e sventai parecchi attentati della cellula islamica Abu Sayaf. Diventai un eroe!”
La Carogna non parlò: i suoi occhi si rimpicciolirono a due fessure, simulacro di uno sguardo spietato, ma le sue palpebre fremevano.
Il Bastardo se ne accorse, e sorrise gelidamente. “Poi, un giorno, sentii il tuo nome dall’intermediario dell’esercito per l’acquisto delle armi. Non starò ad annoiarti con i particolari, ma è così che ho saputo che avevi fatto carriera e che eri diventato un pezzo grosso. Ed ora eccomi qua, per rapinarti e ammazzarti.”
“Perché qua, perché non a casa mia?”
“Perché io rapino banche, non rubo negli appartamenti. Te l’ho già detto: tu hai ucciso la parte di me che voleva cambiare!”
“E le persone che sono di là?”
Il Bastardo scrollò le spalle. “Cazzi loro: imparano ad affidarsi a banche che commerciano in armi! E se non lo sanno, cazzi loro comunque: c’è il modo di documentarsi, sai?![1]
La Carogna deglutì di nuovo, con lo sguardo di un uomo che non ha scampo. “E ora, cosa accadrà?”
“Torniamo di là e lo scoprirai.” E gli intimò con la pistola di muoversi.
Fuori dalla banca, il commissario Torsi blaterava un altro ordine di arrendersi, ma Il Bastardo aveva un altro progetto, ben più sarcastico e redditizio.
Spianò la pistola sugli ostaggi. Doveva ammazzarne altri tre, come da programma. Cominciò a ruotare lentamente l’arma, spostando la mira su ogni singolo ostaggio: una sorta di roulette russa con tre morti assicurati.
Poi si bloccò e ci ripensò. Ne avrebbe ammazzato soltanto uno, per il momento. “Alzati!” ordinò all’uomo a destra di Clotilde.
L’uomo obbedì, e lui lo strattonò fino alla porta d’ingresso. Clotilde tentò di girare la testa per seguire i passi di quell’uomo, che non conosceva ma con cui aveva condiviso tanto nel silenzio, ma Due, posto sul lato di fronte a lei, sparò, sbrecciando il pavimento a pochi centimetri dal suo naso, inducendola a posare di nuovo la testa a terra.
Clotilde si accontentò di sentire i rumori, col cuore che le palpitava in gola.
Ma quanto tempo era passato? Non erano ancora passati quindici minuti! Allora perché quel mostro aveva fatto alzare quell’uomo?
Clotilde inspirò ed espirò profondamente, con gli occhi sbarrati e il padiglione auricolare rivolto all’indietro, totalmente concentrata sul respiro e sulla percezione del mondo attraverso l’udito.
I passi dei due uomini echeggiavano sul pavimento di marmo. Si fermarono. Qualcuno aprì la porta. “Esci” disse la voce di Occhi Azzurri. Clotilde s’immaginò l’espressione incredula dell’uomo che fino a qualche attimo prima era sdraiato accanto a lei. Altro rumore di passi; solo di una persona, però. Il rumore dei passi cambia, passando dal marmo all’asfalto. Sembra andare tutto bene, nessuno fiata. Poi… due colpi silenziati, e un tonfo. La porta si richiude.
Clotilde serrò con forza gli occhi. Quel mostro l’aveva ucciso!

Il commissario Torsi aveva assistito alla scena, con la bocca paralizzata in un’espressione di orrore puro.
“Commissario, cosa dobbiamo fare?” chiese l’agente, avvicinandosi a lui.
Torsi non rispose. Non poteva crederci! Non erano ancora passati i quindici minuti a loro concessi!
“Commissario…?” incalzò l’agente.
Che senso aveva uccidere un ostaggio prima dello scadere del tempo?
“Commissario!”
Torsi si ridestò, e guardò l’agente. Aveva capito che per quegli ostaggi non ci sarebbe stato scampo, se non avessero fermato quei malviventi lì, sul posto. “Appena escono, sparate” si sentì dire con una voce che non era la sua.
Restò immobile, con le mani nelle tasche, come se fosse davanti ad uno specchio.
Era stato proprio lui a pronunciare quelle parole?
Sì, era stato proprio lui!
Portò il megafono alla bocca, mentre i suoi uomini si tenevano pronti dietro le auto, in assetto da combattimento. “Perché hai ucciso quell’ostaggio?, non era ancora finito il tempo! Ora come faccio a fidarmi di te?”
Un colpo di pistola e uno straziante urlo furono la sola risposta che ottenne.
Cazzo!, imprecò tra sé battendo un piede sull’asfalto. “Va bene. L’auto sta arrivando. Sta’ calmo.”
Pochi istanti dopo, infatti, arrivò una berlina.
C’era solo un particolare che doveva chiarire. Perché il rapinatore aveva chiesto una sola auto? In quanti erano? Torsi ci meditò un po’. Tre, più lui, quattro, più un ostaggio, cinque. E la macchina era bella che piena!
Torsi lanciò uno sguardo in alto. Sui tetti delle case, i cecchini erano pronti a fare il loro dovere.

All’interno della banca, Il Bastardo sogghignava: il piano stava funzionando. Tempi molto stretti, niente obiezioni, niente trattative: erano stati quelli i tre fattori fondamentali che avevano disorientato lo sbirro, inducendolo ad obbedirgli.
Ma l’auto non gli serviva affatto: a lui servivano soltanto quegli sbirri come esseri frustrati e incazzati. E gli ultimi due morti erano serviti proprio a quello, a far crescere in loro rabbia e frustrazione.
Occhi Azzurri guardò imperiosamente i suoi uomini. “Allora, siete pronti?”
I quattro annuirono. E ognuno si cavò un passamontagna di tasca.

Il tempo era scaduto. Il commissario Torsi, eretto al di là della strada, vide la porta della banca aprirsi. Uscì un ragazzo dai capelli lunghi e biondi, con una pistola puntata alla tempia e l’espressione stravolta dal terrore: portava la valigetta del Bastardo. “L’auto! Dov’è l’auto? Vi prego, fate come dicono, se no questi ci ammazzano!”
Dietro di lui, un uomo alto dai capelli corti e neri procedeva a occhi chiusi, terrorizzato dalla pistola puntata contro la sua giugulare. Il rapinatore che lo tratteneva continuava a guardare nervosamente da una parte e dall’altra.
Uscirono altri tre ostaggi, trattenuti e minacciati da altrettanti uomini incappucciati.
In tutto cinque.
Cinque, notò il commissario. I rapinatori erano cinque, non quattro! Ma allora avevano intenzione di andarsene senza ostaggi? Non credeva proprio!
Stava accadendo qualcosa di strano. Di solito, in casi come questi, tra sequestrati e sequestratori si stabiliva un’intesa perfetta: i primi non facevano mosse false per paura dei secondi, e i secondi non facevano mosse false per paura della polizia. Ma, questa volta, c’era qualcosa che non andava.
Mentre il piccolo corteo avanzava verso l’auto e poliziotti & tiratori scelti tenevano nell’occhio del mirino i cinque rapinatori incappucciati - trattenendo a forza i propri indici dal premere i grilletti -, il rapinatore uscito per secondo con l’uomo bruno che teneva gli occhi chiusi continuava a girare la testa di qua e di là, guardando tutti quegli sbirri armati, ansimando.
I cecchini aspettavano solo il momento propizio per sparare, il secondo rapinatore continuava a sbuffare e dimenarsi, alla disperata ricerca di qualcosa… o di qualcuno.
Fu in quel momento che l’uomo bruno reagì: caricò il braccio destro verso l’alto e sferrò una gomitata al rapinatore: questi barcollò all’indietro e, senza volerlo, puntò la pistola contro un poliziotto.
Scoppiò l’inferno.
Cecchini e poliziotti non aspettavano altro, e cominciarono a eruttare proiettili. In pochi secondi, una pioggia di morte investì i cinque uomini incappucciati, facendoli piombare a terra crivellati di colpi.
Finita la sparatoria, per le strade piombò un silenzio irreale. Il marciapiede, ora, era lastricato di morte.
I cinque ostaggi si alzarono faticosamente e s’incamminarono, ognuno per conto proprio, verso la barriera delle volanti.
Alcuni poliziotti si riversarono sui cinque cadaveri, mentre altri accolsero i cinque superstiti per soccorrerli e interrogarli. Il commissario Torsi andò verso il corpo del secondo rapinatore; stava per chinarsi per scoprirgli il viso, quando sentì qualcuno rantolare nella banca.
Il commissario entrò di corsa, ma si bloccò, inorridito, quando vide i cadaveri delle due guardie giurate e quello di un uomo. Laggiù, oltre il banco degli sportelli, due macchie di sangue sul muro facevano intuire la presenza di altri due cadaveri.
Il lamento lo ridestò. Lì, a pochi metri da lui, c’era una donna di mezz’età, ferita gravemente, che si stava sbracciando. Lui si avvicinò, e le sollevò la testa.
Lei iniziò. “I rapinatori…”
“Sì, signora, li abbiamo presi.”
“No!… Non è… come… sembra.”
Quel giorno, se fosse sopravvissuta, Clotilde avrebbe avuto una storia da raccontare. Una storia di una rapina, di una vendetta, e di un uomo dagli occhi freddi e azzurri come ghiaccio liquido. Un uomo che non esitava a sparare a chiunque gli fosse d’intralcio, compresa lei, che non aveva la struttura adatta per interpretare un rapinatore. Un uomo che aveva costretto i cinque superstiti ad indossare i passamontagna e a impugnare armi scariche, facendosi passare per i rapinatori, sotto la minaccia che fuori, da qualche parte, c’era un altro suo complice, pronto a sparare.
Già. Se quel giorno, Clotilde, fosse sopravvissuta, avrebbe avuto una storia da raccontare.
Invece spirò.

Il Bastardo camminava spedito e sicuro, con le mani in tasca, ormai lontano dal luogo del crimine. Lui e i suoi quattro complici si erano allontanati in fretta, subito dopo aver risposto alle domande della polizia; un interrogatorio preliminare umano, che i poliziotti avevano compiuto più rapidamente possibile, in rispetto dello sconvolgimento delle ‘presunte vittime’.
Ovviamente non avevano mai avuto alcun complice all’esterno, era solo una stronzata che gli era venuta in mente per convincere quei poveretti, attori di un gioco internazionale di cui in qualche modo facevano parte, ad obbedirgli. E loro, atterriti com’erano, non avevano esitato a farlo.
Aveva mandato avanti Tre, il suo complice giovane e biondo, che non aveva fatto sentire la propria voce agli sbirri, consegnandogli la valigetta. E, quando gli sbirri l’avevano aperta, l’avevano trovata piena di soldi; perché, dopo essersi spartiti il denaro preparato dalla Carogna, Il Bastardo gliel’aveva fatta riempire di nuovo, a beneficio esclusivo dei poliziotti… o meglio, del loro depistaggio.
Aveva dovuto sparare anche ad una donna di mezz’età, rimettendo il silenziatore per non far sentire il colpo all’esterno, perché non aveva la stazza adatta per interpretare un rapinatore minaccioso.
Ma il colpo più geniale, al cui pensiero non poteva fare a meno di sorridere, era stato costringere La Carogna a ‘prenderlo in ostaggio’, facendolo poi ammazzare dalla polizia; da quella polizia che, dieci anni prima, a causa del tradimento della Carogna, aveva ammazzato la sua adorata Esmeralda.
Un bagno di sangue per una vendetta.
Non era certo nello stile di Esmeralda, ma nel suo sì.
Solo Esmeralda poteva fargli cambiare vita. La rapina “carnevalesca” a Euro Disney l’aveva concepita lei; poi, per motivi di “autorevolezza”, l’aveva proposta lui, ma era stata lei a idearla. Voleva dimostrargli che era possibile vivere senza violenza.
E avrebbe funzionato, se La Carogna non li avesse traditi!
Ma era andata male; Esmeralda era morta, e lui non poteva fare la vita che voleva lei, senza di lei: sarebbe impazzito.
Forse, un giorno, avrebbe incontrato un’altra donna che gli avrebbe fatto cambiare vita, ma fino a quel giorno avrebbe continuato la sua vita di sempre.






[1] Per esempio, visitando il sito www.banchearmate.it