Clotilde non
lo sapeva, ma quel giorno, se fosse sopravvissuta, avrebbe avuto una storia da
raccontare.
Era
un mercoledì mattina, e la banca era quasi vuota, per fortuna. Era lì per
riscuotere un assegno, e, a parte lei, c’erano solo i due giovani impiegati -
un ragazzo e una ragazza -, le due guardie giurate vicino all’ingresso, e altri
sette uomini.
Aveva
scelto quella banca, anni prima, perché si era fatta abbindolare dallo spot
pubblicitario che declamava “Una banca per amica”. Non poteva certo immaginare
che la sua cara amica banca, in realtà, prometteva benessere ma esportava armi
e morte.
Clotilde
non lo sapeva, ma l’uomo che entrò in quel momento sì.
Era
alto e bruno, con i capelli corti, la mascella squadrata e forte, e gli occhi
azzurri e penetranti, freddi come ghiaccio liquido.
Entrò
lentamente, superando la doppia porta che doveva garantire sicurezza, girando
lo sguardo di qua e di là, tenendo una valigetta nella mano sinistra, scrutando
tutti con sguardo sicuro.
Uno,
Due, Tre, e Quattro, i suoi quattro complici, lo seguirono.
Uno
e Due andarono a destra, Tre e Quattro a sinistra, e lui dritto, andandosi a
piazzare davanti all’impiegato.
Estrasse
la pistola. “Questa è una rapina” disse. “Chiama il tuo capo.”
“Oggi
non c’è.”
Gli
sparò alla spalla sinistra, e l’uomo cadde all’indietro dolorante.
“Chiamalo”
ripeté gelido. Aveva seguito i movimenti della banca per un mese intero, e
quindi sapeva che al mercoledì mattina il direttore c’era sempre.
L’uomo
si rialzò, tamponandosi la spalla ferita con la mano destra, e scomparve dietro
una porta.
Occhi
Azzurri consultò il suo orologio, non perdendo di vista l’impiegata, che,
credendo di non essere notata, premette l’allarme silenzioso sotto il banco.
Poco
dopo, la porta si riaprì, e riapparve l’impiegato sofferente con il banchiere:
il bancario camminava a fatica.
“Perché
zoppichi? Mica ti ho sparato alla gamba!” E, così dicendo, Occhi Azzurri gli
sparò in pieno petto, facendolo stramazzare al suolo.
Appena
lo vide, il banchiere lo riconobbe. “Non è possibile: Il Bastardo!”
“Salve,
Carogna!” lo salutò Occhi Azzurri. “Non dovevi tradirmi.”
“Tu
ti vuoi vendicare per quello che è accaduto dieci anni fa a Euro Disney.”
“Esatto.”
E i suoi i occhi balenarono di dieci anni di rancore.
Euro Disney,
dieci anni prima
Mancavano pochi minuti alle 15, e
una gran folla di persone, scalpitanti e festanti, si era già dislocata ai lati
di Main Street, la lunga via principale del Magico Regno, inconsapevoli che
l’incombente figura di Gambadilegno le stava spiando da lontano.
Di
solito, Main Street, era solo una via di transito. Con i suoi bassi edifici da
cittadina americana di fine-Ottocento vendeva gadget a clienti di
fine-Novecento, andando dalle porte del Magico Regno fino al castello della
Bella Addormentata.
Ed era sempre da Main Street che
bisognava passare per andare in uno dei quattro quartieri del divertimento:
Adventureland, per esplorare giungle e cimentarsi in avventure piratesche;
Frontierland, per vivere qualche ora nel leggendario Far-West; Discoveryland,
per catapultarsi nello spazio tra alieni, tecnologie avveniristiche, e robot; e
Fantasyland, per immergersi nella fantasia più pura, diventando, per qualche
tempo, coetaneo di figli e nipotini.
Sì. Di solito, Main Street, era
solo una via di transito.
Ma non in quel momento. A pochi
minuti dalle 3 del pomeriggio.
Già, perché ogni giorno, due
volte al giorno, alle 15 e alle 23, Main Street diventava teatro di un
coinvolgente rito pagano: la sfilata dei personaggi Disney.
Le
aiuole erano pulite e di un verde smagliante, come nei cartoni animati; e i
cowboy, vestiti di scuro e con una palandrana nera svolazzante, pistole ben in
vista nei foderi, tenevano libera la strada da bambini troppo impazienti di
salutare i propri beniamini, che presto sarebbero passati.
I
quattro quartieri del divertimento, ovviamente erano comunque popolati, ma, in
quel momento, Main Street era sovraffollata di gente.
Proprio
come da programma!
Gambadilegno,
da lontano, li stava osservando. Erano davvero in tanti, e tutti coi portafogli
belli pieni.
Sarebbe stata la rapina del
secolo. I bambini non li avrebbero toccati, ma i portafogli degli adulti sì.
Eccome!
E
il bello… è che nessuno si sarebbe accorto di nulla!
Avrebbero pensato che fosse uno
scherzo, che facesse parte dello spettacolo!
E
così lui, Trudi, Macchia Nera, e i tre giovani componenti della Banda Bassotti,
avrebbero depredato tutti!
Gambadilegno
si stava pregustando la scena, e, anche sotto la maschera, sogghignò.
Trudi
lo strattonò: era ora di mettersi in fila con gli altri.
La
parata cominciò. Tutti i vip disneyani, sia buoni che cattivi, sfilavano
davanti ai loro piccoli fan al festoso ritmo della Marcia di Topolino.
Tutti
gli spettatori li acclamavano calorosamente. Le eroine e le principesse si
prodigavano in mille saluti e sorrisi, da una parte e dall’altra, mentre gli
eroi “maschi” stringevano le mani dei loro piccoli fan.
Tutto
stava procedendo bene, con qualche adulto che si tratteneva a stento
dall’andare ad abbracciare Paperino o Cenerentola, quando arrivò il gruppo dei ‘cattivi’,
che, in quell’occasione, celava le identità di un vero gruppo di cattivi.
La
rapina iniziò. Macchia Nera, Gambadilegno con la sua compagna Trudi, e la Banda Bassotti ,
armi in pugno, entrarono in azione. Doveva essere un lavoro semplice e
redditizio, studiato nei minimi particolari; nessuno doveva farsi del male.
Assolutamente nessuno!
Dentro
i costumi dei criminali disneyani, La Carogna , Il Bastardo con la sua compagna
Esmeralda, e altri tre complici, cominciarono a intimare alle persone di
svuotare i loro portafogli. Le armi erano vere, ma, in mano a quei fantasiosi
personaggi iper-sorridenti, sembravano comunque finte; e mamme, papà, zii, e
nonni, convinti che fosse una burla, erano ben contenti di tirare fuori i
propri soldi per partecipare attivamente a quello spettacolo.
Tutto
come previsto!
O
quasi.
Dal
fondo della fila, Topolino, rigorosamente vestito in smoking, Pippo, e il
Commissario Basettoni, si fecero largo tra i compagni e si catapultarono sui
malviventi: ruzzolarono tutti a terra, tra lo stupore degli spettatori, grandi
e piccini.
Topolino,
saltando, sferrò un paio di ganci alla mascella di Gambadilegno, che
indietreggiò barcollando. Il Commissario Basettoni lo placcò da sinistra:
rovinarono a terra, e cominciarono a rotolare avanti e indietro. Gambadilegno
recuperò una pistola, ma Basettoni gli afferrò il polso.
Pippo
si muoveva saltellando da una parte all’altra, in una comica danza per bloccare
il passo a Trudi, mentre la
Banda Bassotti doveva vedersela con gli oscuri cowboy che,
armati solo di pistole-giocattolo, li prendevano ripetutamente a cazzotti.
Echeggiarono
tre spari, e la gente, finalmente, si terrorizzò, e scappò via in tutte le
direzioni, urlando.
Gambadilegno
e il Commissario Basettoni continuavano a rotolare. La pistola del rapinatore
aveva sparato tre colpi, che però, per fortuna, erano andati a vuoto.
Però
non era finita. Durante la colluttazione, il Commissario Basettoni s’impossessò
della pistola di Gambadilegno, e, mentre rotolavano, partì accidentalmente un
altro colpo. Fatale.
Un
lancinante urlo femminile squarciò l’aria: Trudi era stata colpita alla
schiena.
E
con lei, Esmeralda.
Gambadilegno
si paralizzò, e Basettoni non ebbe difficoltà a disarmarlo e ad alzarsi. Si
tolse la maschera. “Comandante Poulin, della gendarmerie di Parigi” si
presentò mentre toglieva la maschera al Bastardo e gli ammanettava le mani
dietro la schiena. “La dichiaro in arresto per rapina a mano armata.”
L’agente
travestito da Pippo tolse la maschera a Trudi, scoprendo il bel volto di
Esmeralda e constatandone la morte.
Gli
occhi azzurri del Bastardo erano colmi di lacrime. A pochi metri da lui, la sua
adorata Esmeralda era morta.
Ma
cos’era successo?
Mentre
il comandante Poulin lo alzava e lo accompagnava fuori dall’ex parco di
divertimenti, dove c’erano le volanti che li attendevano, Il Bastardo si guardò
intorno e valutò la situazione. Esmeralda era stata uccisa, i tre complici che
componevano la Banda
Bassotti non reagivano più; ma La Carogna ?
Dov’era
La Carogna ?
Mentre contemplava lo sfacelo di
quella rapina, che avrebbe dovuto essere divertente e facile facile, come un
gioco da bambini, la verità gli piombò nitida nella mente e nel cuore.
Il cuore gli si gonfiò, pronto ad
esplodere.
Non poteva crederci! La Carogna , il suo grande
amico sin dai tempi dell’infanzia, l’aveva tradito. Avevano condiviso tante
cose insieme, dall’adrenalina che fuoriusciva col sangue delle vittime alla
poesia struggente che sapeva infondere un tramonto.
C’era
solo una cosa che non avevano potuto condividere: l’amore di Esmeralda.
Era
quella la differenza che li separava: Esmeralda amava solo Occhi Azzurri, nel
quale vedeva anche un altro uomo, diverso da quello spietato che compiva
rapine.
E
La Carogna ,
roso dall’invida di quell’amore che non poteva avere, doveva aver fatto una
telefonata anonima alla polizia, avvertendola… e permettendo quindi l’uccisione
di Esmeralda.
Poco
importava chi aveva premuto il grilletto. Se La Carogna non avesse
tradito, Esmeralda non sarebbe morta.
Mentre
si avvicinava alla volante, Il Bastardo sapeva che non aveva scampo, che
sarebbe stato condannato. Ma sapeva anche che il germe che La Carogna aveva seminato nel
suo animo stava già germogliando, e quando sarebbe stato rilasciato, presto o
tardi, si sarebbe vendicato.
Milano, oggi
Lo
sguardo della Carogna si fissò in quello di Occhi Azzurri; solo per un attimo,
però, perché poi l’ululato di una sirena della polizia catturò l’attenzione di
entrambi.
“Sono
il commissario Torsi” latrò una voce maschile da un megafono. “Il palazzo è circondato!
Non fate sciocchezze!”
Occhi
Azzurri sogghignò. Tutto come previsto!
Posò la valigetta a terra, si
infilò il passamontagna che aveva in tasca, andò verso la porta, e la
socchiuse. “Non si preoccupi, Signor Commissario, è tutto sotto controllo.
Nessuna sciocchezza: o ci darete un’auto bella nel giro di un quarto d’ora o vi
daremo un ostaggio morto ogni minuto che passa in più. A voi la scelta!” E
richiuse la porta.
Mise
il silenziatore alla pistola, e, compiendo mezzo giro in senso antiorario,
sparò prima ad una guardia e poi all’altra, eliminando due esseri del tutto
inutili per il suo piano.
“Tutti
a terra” ordinò calmo.
Gli
ostaggi obbedirono. Solo La Carogna
e l’impiegata rimasero in piedi, al di là del banco. Occhi Azzurri si diresse
verso di lui, levandosi il passamontagna e rimettendoselo in tasca, ma parlò a
lei. “Ehi, bella, guarda che lo so che sei stata tu a premere l’allarme
silenzioso.” E, prima che la ragazza potesse dire qualcosa, la freddò.
Riprese
la valigetta, e si rivolse a lui. “Ora noi andiamo di là, e tu riempirai questa
valigetta di denaro. Chiaro?”
“E’
piccola. Ti accontenti.”
“Sai
come si dice: Chi si accontenta, gode!.
E io, alla fine, godrò.”
Intanto,
Uno, Due, Tre, e Quattro, tenevano a bada gli altri ostaggi.
Clotilde,
sdraiata, guardava il suo compagno di sventura accanto lei, con gli occhi pieni
di lacrime e i brividi che le scuotevano il corpo. L’uomo e la donna si
guardavano: negli occhi dell’uno si rispecchiava il terrore dell’altro. Nessuno
dei due poteva dimenticare che quell’uomo dagli occhi azzurri aveva ucciso a
sangue freddo quattro persone, tre delle quali senza alcun motivo.
In
realtà, un motivo per quelle uccisioni c’era. Ma se Clotilde l’avesse saputo,
si sarebbe terrorizzata ancora di più.
Il commissario
Torsi era rimasto impietrito. Non gli era mai capitato nulla di simile. Di
solito, il suo punto di forza era la contrattazione, il dialogo: parlando con i
sequestratori riusciva a capirli, a prendere tempo, e a giungere alla
conclusione senza vittime.
Era
un suo punto d’orgoglio.
Ma
l’uomo che si era affacciato alla porta aveva concesso pochissimo tempo. E non
ammetteva repliche.
Per
la prima volta nella sua carriera, il commissario Torsi si sentì spaesato.
Tutto il mondo attorno a lui era stato avvolto in un’ovatta, non gli
apparteneva più.
Tentò
di ragionare. L’uomo incappucciato aveva parlato al plurale, quindi non era
solo. Sì, ma in quanti erano? Da lì era impossibile vedere l’interno
della banca. Per riuscirci avrebbe dovuto andare fin quasi col naso attaccato
ad una delle due grandi finestre ovali, protette da inferiate, e aguzzare bene
la vista; ma non era affatto detto che, al di là delle finestre, non avrebbe
incrociato lo sguardo di qualcuno, messo lì di guardia, pronto a sparargli.
Il
commissario Torsi fu costretto a rivolgersi ad un agente lì vicino,
pronunciando una frase che non avrebbe mai pensato di dover dire: “Chiamate i
rinforzi, e tenetevi pronti ad intervenire!”.
“Come mi hai
trovato?” disse La Carogna
mentre, nel caveau, richiudeva la valigetta del Bastardo, ormai piena.
“Ti
ho trovato a Mindanao, nelle Filippine. Sai?, dopo il tuo scherzetto a Euro
Disney sono stato condannato a cinque anni. E cinque anni chiuso in prigione,
dopo che hai perso la donna che ami, ti marchiano a fuoco, ti incattiviscono.”
Si interruppe un momento. “Esmeralda era bella, e mi amava. Non dovevi
ucciderla.”
“Non
l’ho uccisa io, il commissario Basettoni l’ha uccisa.”
“I
poliziotti l’hanno uccisa perché tu hai fatto la spia.” Lo guardò fisso negli
occhi. “Tu, in quel momento, hai ucciso una parte di me: la parte che voleva
cambiare. Io ti sarei rimasto sempre amico, anche se avessi cambiato vita con
Esmeralda, lo sai; ma tu… Ma tu hai rovinato tutto!”
Il
Bastardo se ne accorse, e sorrise gelidamente. “Poi, un giorno, sentii il tuo
nome dall’intermediario dell’esercito per l’acquisto delle armi. Non starò ad
annoiarti con i particolari, ma è così che ho saputo che avevi fatto carriera e
che eri diventato un pezzo grosso. Ed ora eccomi qua, per rapinarti e
ammazzarti.”
“Perché
qua, perché non a casa mia?”
“Perché
io rapino banche, non rubo negli appartamenti. Te l’ho già detto: tu hai ucciso
la parte di me che voleva cambiare!”
“E le
persone che sono di là?”
Il
Bastardo scrollò le spalle. “Cazzi loro: imparano ad affidarsi a banche che
commerciano in armi! E se non lo sanno, cazzi loro comunque: c’è il modo di
documentarsi, sai?![1]“
“Torniamo
di là e lo scoprirai.” E gli intimò con la pistola di muoversi.
Fuori
dalla banca, il commissario Torsi blaterava un altro ordine di arrendersi, ma
Il Bastardo aveva un altro progetto, ben più sarcastico e redditizio.
Spianò
la pistola sugli ostaggi. Doveva ammazzarne altri tre, come da programma.
Cominciò a ruotare lentamente l’arma, spostando la mira su ogni singolo
ostaggio: una sorta di roulette russa con tre morti assicurati.
Poi si
bloccò e ci ripensò. Ne avrebbe ammazzato soltanto uno, per il momento.
“Alzati!” ordinò all’uomo a destra di Clotilde.
L’uomo
obbedì, e lui lo strattonò fino alla porta d’ingresso. Clotilde tentò di girare
la testa per seguire i passi di quell’uomo, che non conosceva ma con cui aveva
condiviso tanto nel silenzio, ma Due, posto sul lato di fronte a lei, sparò,
sbrecciando il pavimento a pochi centimetri dal suo naso, inducendola a posare
di nuovo la testa a terra.
Clotilde
si accontentò di sentire i rumori, col cuore che le palpitava in gola.
Ma
quanto tempo era passato? Non erano ancora passati quindici minuti! Allora
perché quel mostro aveva fatto alzare quell’uomo?
Clotilde
inspirò ed espirò profondamente, con gli occhi sbarrati e il padiglione
auricolare rivolto all’indietro, totalmente concentrata sul respiro e sulla
percezione del mondo attraverso l’udito.
I passi
dei due uomini echeggiavano sul pavimento di marmo. Si fermarono. Qualcuno aprì
la porta. “Esci” disse la voce di Occhi Azzurri. Clotilde s’immaginò
l’espressione incredula dell’uomo che fino a qualche attimo prima era sdraiato
accanto a lei. Altro rumore di passi; solo di una persona, però. Il rumore dei
passi cambia, passando dal marmo all’asfalto. Sembra andare tutto bene, nessuno
fiata. Poi… due colpi silenziati, e un tonfo. La porta si richiude.
Clotilde
serrò con forza gli occhi. Quel mostro l’aveva ucciso!
Il
commissario Torsi aveva assistito alla scena, con la bocca paralizzata in
un’espressione di orrore puro.
“Commissario,
cosa dobbiamo fare?” chiese l’agente, avvicinandosi a lui.
Torsi
non rispose. Non poteva crederci! Non erano ancora passati i quindici minuti
a loro concessi!
“Commissario…?”
incalzò l’agente.
Che
senso aveva uccidere un ostaggio prima dello
scadere del tempo?
“Commissario!”
Torsi
si ridestò, e guardò l’agente. Aveva capito che per quegli ostaggi non ci
sarebbe stato scampo, se non avessero fermato quei malviventi lì, sul posto.
“Appena escono, sparate” si sentì dire con una voce che non era la sua.
Restò
immobile, con le mani nelle tasche, come se fosse davanti ad uno specchio.
Era
stato proprio lui a pronunciare quelle parole?
Sì, era
stato proprio lui!
Portò
il megafono alla bocca, mentre i suoi uomini si tenevano pronti dietro le auto,
in assetto da combattimento. “Perché hai ucciso quell’ostaggio?, non era ancora
finito il tempo! Ora come faccio a fidarmi di te?”
Un
colpo di pistola e uno straziante urlo furono la sola risposta che ottenne.
Cazzo!,
imprecò tra sé battendo un piede sull’asfalto. “Va bene. L’auto sta arrivando.
Sta’ calmo.”
Pochi
istanti dopo, infatti, arrivò una berlina.
C’era
solo un particolare che doveva chiarire. Perché il rapinatore aveva chiesto
una sola auto? In quanti erano? Torsi ci meditò un po’. Tre, più
lui, quattro, più un ostaggio, cinque. E la macchina era bella che piena!
Torsi
lanciò uno sguardo in alto. Sui tetti delle case, i cecchini erano pronti a
fare il loro dovere.
All’interno
della banca, Il Bastardo sogghignava: il piano stava funzionando. Tempi molto
stretti, niente obiezioni, niente trattative: erano stati quelli i tre fattori
fondamentali che avevano disorientato lo sbirro, inducendolo ad obbedirgli.
Ma
l’auto non gli serviva affatto: a lui servivano soltanto quegli sbirri come esseri
frustrati e incazzati. E gli ultimi due morti erano serviti proprio a quello, a
far crescere in loro rabbia e frustrazione.
Occhi
Azzurri guardò imperiosamente i suoi uomini. “Allora, siete pronti?”
I
quattro annuirono. E ognuno si cavò un passamontagna di tasca.
Il
tempo era scaduto. Il commissario Torsi, eretto al di là della strada, vide la
porta della banca aprirsi. Uscì un ragazzo dai capelli lunghi e biondi, con una
pistola puntata alla tempia e l’espressione stravolta dal terrore: portava la
valigetta del Bastardo. “L’auto! Dov’è l’auto? Vi prego, fate come dicono, se
no questi ci ammazzano!”
Dietro
di lui, un uomo alto dai capelli corti e neri procedeva a occhi chiusi,
terrorizzato dalla pistola puntata contro la sua giugulare. Il rapinatore che
lo tratteneva continuava a guardare nervosamente da una parte e dall’altra.
Uscirono
altri tre ostaggi, trattenuti e minacciati da altrettanti uomini incappucciati.
In
tutto cinque.
Cinque,
notò il commissario. I rapinatori erano cinque, non quattro! Ma allora
avevano intenzione di andarsene senza ostaggi? Non credeva proprio!
Stava
accadendo qualcosa di strano. Di solito, in casi come questi, tra sequestrati e
sequestratori si stabiliva un’intesa perfetta: i primi non facevano mosse false
per paura dei secondi, e i secondi non facevano mosse false per paura della
polizia. Ma, questa volta, c’era qualcosa che non andava.
Mentre
il piccolo corteo avanzava verso l’auto e poliziotti & tiratori scelti
tenevano nell’occhio del mirino i cinque rapinatori incappucciati - trattenendo
a forza i propri indici dal premere i grilletti -, il rapinatore uscito per secondo con l’uomo bruno che teneva gli occhi
chiusi continuava a girare la testa di qua e di là, guardando tutti quegli
sbirri armati, ansimando.
I cecchini aspettavano solo il momento propizio per
sparare, il secondo rapinatore continuava a sbuffare e dimenarsi, alla
disperata ricerca di qualcosa… o di qualcuno.
Fu in quel momento che l’uomo bruno reagì: caricò
il braccio destro verso l’alto e sferrò una gomitata al rapinatore: questi
barcollò all’indietro e, senza volerlo, puntò la pistola contro un poliziotto.
Scoppiò l’inferno.
Cecchini e poliziotti non aspettavano altro, e
cominciarono a eruttare proiettili. In pochi secondi, una pioggia di morte
investì i cinque uomini incappucciati, facendoli piombare a terra crivellati di
colpi.
Finita la sparatoria, per le strade piombò un
silenzio irreale. Il marciapiede, ora, era lastricato di morte.
I cinque ostaggi si alzarono faticosamente e
s’incamminarono, ognuno per conto proprio, verso la barriera delle volanti.
Alcuni poliziotti si riversarono sui cinque
cadaveri, mentre altri accolsero i cinque superstiti per soccorrerli e
interrogarli. Il commissario Torsi andò verso il corpo del secondo rapinatore;
stava per chinarsi per scoprirgli il viso, quando sentì qualcuno rantolare
nella banca.
Il commissario entrò di corsa, ma si bloccò,
inorridito, quando vide i cadaveri delle due guardie giurate e quello di un
uomo. Laggiù, oltre il banco degli sportelli, due macchie di sangue sul muro
facevano intuire la presenza di altri due cadaveri.
Il lamento lo ridestò. Lì, a pochi metri da lui,
c’era una donna di mezz’età, ferita gravemente, che si stava sbracciando. Lui
si avvicinò, e le sollevò la testa.
Lei iniziò. “I rapinatori…”
“Sì, signora, li abbiamo presi.”
“No!… Non è… come… sembra.”
Quel
giorno, se fosse sopravvissuta, Clotilde avrebbe avuto una storia da
raccontare. Una storia di una rapina, di una vendetta, e di un uomo dagli occhi
freddi e azzurri come ghiaccio liquido. Un uomo che non esitava a sparare a
chiunque gli fosse d’intralcio, compresa lei, che non aveva la struttura adatta
per interpretare un rapinatore. Un uomo che aveva costretto i cinque superstiti
ad indossare i passamontagna e a impugnare armi scariche, facendosi passare per
i rapinatori, sotto la minaccia che fuori, da qualche parte, c’era un altro suo
complice, pronto a sparare.
Già. Se
quel giorno, Clotilde, fosse sopravvissuta, avrebbe avuto una storia da
raccontare.
Invece
spirò.
Il Bastardo camminava spedito e sicuro, con le mani
in tasca, ormai lontano dal luogo del crimine. Lui e i suoi quattro complici si
erano allontanati in fretta, subito dopo aver risposto alle domande della
polizia; un interrogatorio preliminare umano, che i poliziotti avevano compiuto
più rapidamente possibile, in rispetto dello sconvolgimento delle ‘presunte
vittime’.
Ovviamente non avevano mai avuto alcun complice
all’esterno, era solo una stronzata che gli era venuta in mente per convincere
quei poveretti, attori di un gioco internazionale di cui in qualche modo
facevano parte, ad obbedirgli. E loro, atterriti com’erano, non avevano esitato
a farlo.
Aveva mandato avanti Tre, il suo complice giovane e
biondo, che non aveva fatto sentire la propria voce agli sbirri, consegnandogli
la valigetta. E, quando gli sbirri l’avevano aperta, l’avevano trovata piena di
soldi; perché, dopo essersi spartiti il denaro preparato dalla Carogna, Il
Bastardo gliel’aveva fatta riempire di nuovo, a beneficio esclusivo dei
poliziotti… o meglio, del loro depistaggio.
Aveva dovuto sparare anche ad una donna di
mezz’età, rimettendo il silenziatore per non far sentire il colpo all’esterno,
perché non aveva la stazza adatta per interpretare un rapinatore minaccioso.
Ma il colpo più geniale, al cui pensiero non poteva
fare a meno di sorridere, era stato costringere La Carogna a ‘prenderlo in
ostaggio’, facendolo poi ammazzare dalla polizia; da quella polizia che, dieci
anni prima, a causa del tradimento della Carogna, aveva ammazzato la sua
adorata Esmeralda.
Un bagno di sangue per una vendetta.
Non era certo nello stile di Esmeralda, ma nel suo
sì.
Solo Esmeralda poteva fargli cambiare vita. La
rapina “carnevalesca” a Euro Disney l’aveva concepita lei; poi, per motivi di
“autorevolezza”, l’aveva proposta lui, ma era stata lei a idearla. Voleva
dimostrargli che era possibile vivere senza violenza.
E avrebbe funzionato, se La Carogna non li avesse
traditi!
Ma era andata male; Esmeralda era morta, e lui non
poteva fare la vita che voleva lei, senza di lei: sarebbe impazzito.
Forse, un giorno, avrebbe incontrato un’altra donna
che gli avrebbe fatto cambiare vita, ma fino a quel giorno avrebbe continuato
la sua vita di sempre.
©Sergio Rilletti, 2006
Nessun commento:
Posta un commento