Dirotta su Cuba!
Quante volte aveva
sentito questa frase. No, non nei film; e neanche nella realtà, per fortuna; ma
era una frase talmente entrata nel lessico scherzoso e nell’immaginario collettivo
che ormai, secondo lui, aveva assunto una funzione ben augurale - un po’ come
dire In bocca al lupo! o,
parafrasando un altro detto, Fai da
supposta alla balena! -, ma concepita specificatamente per i viaggiatori in
aereo.
Peccato,
però, che nessuno gliel’avesse detta prima che partisse!...
Già, erano
questi i pensieri di Mister Noir, celebre investigatore privato di Milano,
mentre se ne stava comodamente seduto su una bella poltrona dell’aereo, immediatamente
a destra del corridoio. Lui avrebbe preferito stare vicino al finestrino, a
godersi il panorama delle Alpi e dell’oceano, ma, per motivi di sicurezza e per
comodità del personale, aveva acconsentito. D’altronde loro, quelli del
personale, lasciandosi ingannare dalla sua evidente disabilità, non potevano
certo immaginare che razza di capacità fisiche avesse!
Così, si era
lasciato accomodare, sprofondando nella poltrona, il cui comfort era molto
diverso da quello della sua carrozzina.
Si assestò,
rilassandosi, ben consapevole di essere sul volo più sicuro al mondo, dato che
nessuno poteva intimare al pilota il mitico Dirotta
su Cuba!... essendo già diretto a Cuba.
Che poi,
chissà perché questa esortazione è diventata così di pubblico dominio?!...
Anche ammesso che sia mai stata pronunciata, l’avranno detta direttamente al
comandante, non avranno certo fatto il passaparola tra i passeggeri e le
hostess fino ad arrivare a lui!
L’unica cosa
certa è che Cuba, di cui conosceva direttamente solo il cuba libre, lo
intrigava molto. Non tanto per i cubani, che peraltro non fumava, e neanche per
le cubiste, che comunque si trovavano a Milano, ma per il clima, il diverso
modo di vivere che gli aveva più volte raccontato Elena Fox, la sua
assistente-detective che lo aiutava nelle indagini, di ritorno da qualche sua
vacanza. Allegria, spensieratezza, e incredibile ospitalità: erano queste le
tre parole magiche che trasformavano un popolo che viveva in povertà, in un
luogo leggendario: mitico seppur reale. Un popolo che, nonostante le proprie
condizioni, sembrava perennemente vivere a ritmo di salsa, bachata, e merengue.
In questo
senso anche lui, Mister Noir, si sentiva un po’ cubano. E non nel senso del
sigaro!... Affetto da tetraparesi spastica, che lo ostacolava grandemente nei
movimenti e nel linguaggio senza però renderlo né paralizzato né muto, affrontava
la vita come un panzer, elargendo il suo aiuto a chi glielo chiedeva (a
pagamento, naturalmente), tuffandosi a capofitto nei misteri e nei meandri
della città.
Una vita che
si era scelto, che poteva fare proprio perché viveva in casa propria, dove non
dipendeva dalle capacità o dalle bizze di educatori e strutture sociali, esterni alla sua vita, ma solo dalla sua
capacità di organizzarsi con chi lo aiutava. Era ricco, questo sì, ma
soprattutto aveva trovato Consuelo Gomez, una donna filippina che aveva deciso
di vivere con lui come domestica e badante; anche se, ovviamente, Mr. Noir sapeva
badare benissimo a se stesso!
Era un
privilegiato, lo sapeva. A parte qualche disabile particolarmente tosto, che
era riuscito a vivere da solo - la cui esperienza veniva esaltata e osteggiata al
tempo stesso dai medesimi operatori, che sostenevano, mentre ne esaltavano il
risultato, che fosse un progetto irrealizzabile -, la maggior parte delle
persone con disabilità era costretta a vivere in comunità, modificando più o
meno radicalmente le proprie abitudini, dipendendo da cooperative e strutture
esterne che, anche se funzionavano bene, ad un certo punto, causa nuova gara
d’appalto, potevano cambiare.
Un concetto
inammissibile per Mister Noir che, come tutti, voleva essere padrone della
propria esistenza.
E questo
tralasciando i suoi pensieri sugli educatori, la maggior parte dei quali, pur
costando più di una badante filippina, sarebbe da rieducare completamente, con grande costanza e pervicacia, al
rispetto delle persone e all’onestà d’animo. E, con loro, bisognava fare lo
stesso con i volontari, che, per quanto possano essere bravi e simpatici, a parte
qualche sporadica eccezione li seguono pedissequamente, rifiutandosi categoricamente
di ragionare, fedeli a chi manco li paga; anche a costo di perdere,
irrimediabilmente, la fiducia e l’affetto di chi, come le persone disabili, aveva
concesso loro.
E, perdipiù,
tutte queste rieducazioni altrui avrebbe dovuto farle pure gratis!
No, no,
meglio così. E sinceramente sperava che, prima o poi - più prima che poi, naturalmente!
-, le istituzioni italiane si decidessero ad aiutare le persone con disabilità
che, come lui, vorrebbero continuare a vivere la propria vita a casa propria.
Ma ora basta
con questi pensieri.
Il lungo momento
di relax che si stava concedendo ora, in aereo, era proprio quel che ci voleva.
Relax!
Sì, era proprio
bello rilassato, quando un giovane dai capelli castani si alzò di scatto dal
proprio posto avvicinandosi a lui, e, puntandogli una pistola alla tempia, rivolgendosi
alla hostess berciò quello che nessuno si sarebbe mai aspettato di sentir dire.
“Dirotta su Bergeggi!”
“Cosa???”
“Di’ al
capitano di dirottare su Bergeggi, altrimenti gli sparo!”
“V-va bene”
balbettò la ragazza, prima di sparire nella cabina di pilotaggio.
“Sei
spaventato, vero?” sibilò con acredine all’handicappato.
Alcuni
passeggeri urlarono, altri si ritrassero dietro ai sedili, mentre il giovane
cominciò a cantare a squarciagola Gelosia,
il brano che nel 1995 portò al successo, facendolo volare in cima alle
classifiche, il complesso dei Dirotta su Cuba.
Il giovane,
invece, aveva ben altri complessi.
Il detective rimase
impassibile: ruotando solo gli occhi verso il ragazzo guardò di sbieco lui e
l’arma.
Gli bastarono
due secondi per capire bene la situazione. Chiuse un momento gli occhi,
spazientito: quello non era un terrorista, era un demente!
Un demente
che, però, stava terrorizzando cinquanta persone; quindi, doveva essere fermato.
La hostess
riapparve: con gli occhi dilatati, rigida, e quasi senza respirare.
Certo. Mister
Noir, nonostante le sue notevoli difficoltà, avrebbe potuto tentare di parlarle
per rassicurarla, ma dubitava che il mentecatto gliel’avrebbe permesso. E la
situazione sarebbe potuta peggiorare.
Così, decise di
lasciar perdere la complicata via della locuzione verbale, e di compiere,
invece, una di quelle azioni che, quando poi venivano descritte dal suo
biografo, alcuni lettori pensavano fossero irreali. Con la sola mano sinistra:
prima gli sferrò un pugno nello stomaco da farlo piegare in due, poi lo colpì
sul polso (facendosi cadere l’arma in grembo), e infine lo abbrancò per il
coppino e gli sbatté la testa sullo schienale davanti a sé facendolo crollare a
terra, supino e dolorante.
Il giovane,
steso al suolo, gemeva. Mister Noir, dopo aver aperto e chiuso la mano diverse
volte per prepararla al movimento, con una mossa repentina impugnò la pistola,
gliela puntò dritta dritta in faccia,
(la hostess dilatò gli occhi, gli astanti
emisero degli urletti ritraendosi dietro alle poltrone),
e sparò.
Era una
pistola ad acqua.
©Sergio Rilletti, 2013
Nessun commento:
Posta un commento