mercoledì 1 marzo 2017

MyLife - LOURDES '88 (Un racconto autobiografico)


“Il motivo per cui una persona decide di andare a Lourdes” mi aveva detto don Serafino quando mi aveva proposto di andare con loro, “è esplicito.”
In effetti anche a me sembrava chiaro che a Lourdes ci si andasse per pregare, e, sinceramente, avevo paura di dover fare sempre e solo quello.
Comunque, dopo qualche giorno di riflessione, ho accettato di buon grado... e feci bene!

Ci trovammo tutti puntuali alle 18 in stazione, compresa, miracolosamente, quella perenne ritardataria di Simona. Ovviamente, però, per il treno non ci fu nulla da fare: arrivò in ritardo di un'ora!
Sul treno si sentiva già un clima di fratellanza che poi, coi compagni di scompartimento e con qualcun altro, si è trasformato in un sereno rapporto di quasi-amicizia.

Arrivati puntuali a destinazione (evidentemente nell'orario era già stato compreso il ritardo iniziale) prendemmo posto nelle nostre camere, e ci stemmo fino all’ora di pranzo. I pasti non erano un granché, ma io ed Enzo potemmo risollevarci il morale con la visione delle cameriere.

Al pomeriggio andammo alla Basilica di S. Pio X a celebrare la S. Messa.
Appena entrato fui colpito dall’immensità di quella colossale struttura. La Basilica era lunga 201 metri e larga 81. Da un punto di vista estetico faceva un po' desiderare, ma come funzionalità era ottima: grazie alla sua grandiosità, alle sei entrate, e soprattutto agli scivoli, tutti potevano circolare comodamente, persone disabili comprese.
La funzione iniziò.
Io ero in prima fila con i miei due fedelissimi assistenti. L’organo cominciò a suonare inondando la Basilica della sua musica maestosa. Entrarono i sacerdoti, tra i quali c’era anche don Serafino, e sette ragazzi con grandi bandiere a scacchi bianchi e gialli con, al centro, lo stemma della Chiesa principale della propria zona pastorale. Tra  orazioni, salmi, e canti corali, ci sentimmo tutti uniti in un unico spirito.
Non avevo mai provato una  sensazione simile.
Fu subito all’inizio della celebrazione che ci giunse la notizia che il Cardinale Carlo Maria Martini non era venuto a Lourdes, deludendo così seimila pellegrini.

Subito dopo la celebrazione facemmo la processione penitenziale fino alla Cité St. Pierre per la Celebrazione delle Confessioni; i sacerdoti raccomandarono di svolgerla nel massimo silenzio, e invece, con mio grande stupore, ci fu un continuo cicaleccio.
Durante questa processione potei assistere ad un grande incontro tra due amici che non si vedevano da tanto tempo; ed è anche questa la bellezza dei pellegrinaggi di massa.

La sera era libera.
Io mi ero prospettato di trascorrerla allegramente con quel fiorellino di Simona, invece la passai noiosamente con quel mostro di Enzo.
Solo verso fine serata ci fu un piccolo giallo che la ravvivò un po’; ma questo ve lo racconLa notte fu disastrosa.
Dovevo ascoltare, mio malgrado, un concerto da camera in stereofonia: a sinistra, Enzo che parlava e urlava nel sonno, a destra, don Serafino che russava.

Sabato, dopo la S. Messa, celebrammo la Via Crucis nella Basilica S. Pio X, rievocando i quindici momenti più importanti dalla condanna di Gesù alla sua risurrezione.
Ci unimmo ancora una volta, formando un'unica voce e un unico spirito.

Verso le 2 del pomeriggio andammo su un irto pendio, sudando pioggia, a svolgere fisicamente la Via Crucis. Ci incamminammo e, ad ogni Stazione, ci fermammo recitando un’Ave Maria, e, all'ultima, l'intero Rosario, che, naturalmente, non fu l’unico. A volte ci trovammo assieme ad altri gruppi, a volte anche stranieri.
Fino a quel momento non avevo mai visto di buon occhio quelli che recitavano il Rosario: mi sembravano dei robot programmati per ripetere meccanicamente cinquanta volte la stessa frase; ma fu in quel momento che capii che non era così: ripetendolo in gruppo ci si sente tutti più uniti, più vicini, più affratellati; a me venne quasi istintivo associarmi anche oralmente alla preghiera.

Verso le 16.30 tornammo alla Basilica, che, ormai, era diventata la nostra seconda casa. Celebrammo la processione eucaristica.
Una marea di gente inondava l'intera Basilica.
Io ero sul risciò (la mia carrozzina aveva bucato) in prima fila con gli altri invalidi.
La funzione fu celebrata in più lingue. I sacerdoti avanzarono piano piano, con l'Ostensorio in mano, a dare la benedizione. Sulla parte superiore della Basilica sacerdoti e pellegrini avanzarono lentamente, ceri in mano, percorrendo l’intero perimetro.
Tutto questo contribuì a diffondere un clima di pace, di serenità, e, perché no!, anche di magia e di onnipotenza.

Il resto del pomeriggio lo passammo a fare compere. Con uno stratagemma degno di un film di spionaggio riuscimmo a comprare un regalino per Simona senza che lei se ne accorgesse.

Alle 21 andammo all’Esplanade per svolgere la Fiaccolata. Potete facilmente immaginare che delizia svolgerla sotto la pioggia... e con il vento! Migliaia di pellegrini avanzavano lentamente recitando il Rosario in varie lingue, latino compreso, alzando e abbassando ritmicamente le proprie fiaccole; tutti i pellegrini occupavano quasi l'intera superficie dell'Esplanade, formando, così, un'interminabile fila. Se qualcuno l’avesse osservata dall'alto, avrebbe notato una vasta distesa luminosa che scintillava nell'oscurità.
Quando recitavano le preghiere in latino io mi sentivo emarginato, e come me, probabilmente, molti altri giovani che non hanno studiato questa lingua. Ora, riflettendoci, il latino è la lingua-madre per eccellenza: da lei sono nate la maggior parte delle lingue occidentali; quindi, pregare in latino, è un simbolo di unione e di comunità.
Fu durante questa celebrazione che conobbi un signore di Savona: vedendo che mi stavo bagnando per bene (non potevamo alzare il tetto del risciò perché, altrimenti, non avrei più potuto tenere in mano la fiaccola), si avvicinò e mi coprì col suo ombrello. Dopo la Fiaccolata, che, a causa del tempo, si celebrò in versione ridotta, scambiammo quattro chiacchiere e ci separammo.
Andammo a vedere la Grotta; dicemmo tre Ave Maria e cantammo la Salve Regina in latino. Enzo e Simona vollero rimanere soli soletti (...!), e io, don Serafino, e tutti gli altri, tornammo in albergo.

Quando Enzo e Simona tornarono, ci mettemmo a scrivere le cartoline.

E così venne domenica. (Il fatto, lo ammetto, è molto consueto!)
Alle 9 andammo alla solita Basilica a celebrare la S. Messa internazionale.
In questa occasione la Basilica raggiunse il culmine della presenza e della partecipazione.
La Messa era detta in francese, inglese, tedesco, spagnolo, e italiano.
Ciascun sacerdote ripeteva la preghiera nella propria lingua e i suoi fedeli gli rispondevano. Mi accorsi subito che la lingua più calda, quasi amichevole e confidenziale, era lo spagnolo; mentre quella più dura era il tedesco.
Una magica atmosfera si diffuse in tutta la Basilica. Alcune suore offrirono l’Acqua Benedetta di Lourdes agli invalidi; la bevvi anch'io.

Alle 11 andammo alla Grotta a celebrare la conclusione del pellegrinaggio donando alla Madonna sette ceri e le nostre sette bandiere. Dopodiché ritornammo tutti in albergo.

Il viaggio di ritorno andò bene, anche se, io ed Enzo, involontariamente, facemmo preoccupare i nostri compagni di scompartimento con una finta scazzottata degna di un film di 007. Ci pentimmo subito di aver fatto spaventare tante persone per niente; così, ora, ne approfitto per chiedere scusa a nome di tutt'e due.

Ora, anche a costo di sembrare lagnoso e molto retorico, devo fare i dovuti ringraziamenti a un numero abbastanza consistente di persone.
Voglio ringraziare tutti quelli che hanno contribuito a farmi passare serenamente questo pellegrinaggio; e più precisamente: don Serafino che mi ha offerto di fare questa magnifica esperienza, i miei insostituibili assistenti Enzo e Simona, tutti quelli che mi hanno tenuto compagnia, e, anche se non hanno partecipato al pellegrinaggio, i signori Pirola.


©Sergio Rilletti, 1988

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