“Il motivo per cui una persona decide di andare a Lourdes” mi aveva detto
don Serafino quando mi aveva proposto di andare con loro, “è esplicito.”
In effetti anche a me sembrava chiaro che a Lourdes ci si
andasse per pregare, e, sinceramente, avevo paura di dover fare sempre e solo
quello.
Comunque, dopo qualche giorno di riflessione, ho
accettato di buon grado... e feci bene!
Ci trovammo tutti puntuali alle 18 in stazione, compresa, miracolosamente, quella perenne
ritardataria di Simona. Ovviamente, però, per il treno non ci fu nulla da fare:
arrivò in ritardo di un'ora!
Sul treno si sentiva già un clima di fratellanza che poi,
coi compagni di scompartimento e con qualcun altro, si è trasformato in un
sereno rapporto di quasi-amicizia.
Arrivati puntuali a destinazione (evidentemente nell'orario era già stato
compreso il ritardo iniziale) prendemmo posto nelle nostre camere, e ci stemmo
fino all’ora di pranzo. I pasti non erano un granché, ma io ed Enzo potemmo
risollevarci il morale con la visione delle cameriere.
Al pomeriggio andammo alla Basilica di S. Pio X a celebrare la S. Messa.
Appena entrato fui colpito dall’immensità di quella
colossale struttura. La Basilica era lunga 201 metri e larga 81. Da un punto di
vista estetico faceva un po' desiderare, ma come funzionalità era ottima:
grazie alla sua grandiosità, alle sei entrate, e soprattutto agli scivoli,
tutti potevano circolare comodamente, persone disabili comprese.
La funzione iniziò.
Io ero in prima fila con i miei due fedelissimi assistenti.
L’organo cominciò a suonare inondando la Basilica della sua musica maestosa.
Entrarono i sacerdoti, tra i quali c’era anche don Serafino, e sette ragazzi
con grandi bandiere a scacchi bianchi e gialli con, al centro, lo stemma della
Chiesa principale della propria zona pastorale. Tra orazioni, salmi, e canti corali, ci sentimmo
tutti uniti in un unico spirito.
Non avevo mai provato una
sensazione simile.
Fu subito all’inizio della celebrazione che ci giunse la
notizia che il Cardinale Carlo Maria Martini non era venuto a Lourdes,
deludendo così seimila pellegrini.
Subito dopo la celebrazione facemmo la processione
penitenziale fino alla Cité St. Pierre per la Celebrazione delle Confessioni; i
sacerdoti raccomandarono di svolgerla nel massimo silenzio, e invece, con mio
grande stupore, ci fu un continuo cicaleccio.
Durante questa processione potei assistere ad un grande
incontro tra due amici che non si vedevano da tanto tempo; ed è anche questa la
bellezza dei pellegrinaggi di massa.
La sera era libera.
Io mi ero prospettato di trascorrerla allegramente con
quel fiorellino di Simona, invece la passai noiosamente con quel mostro di
Enzo.
Solo verso fine serata ci fu un piccolo giallo che la
ravvivò un po’; ma questo ve lo racconLa notte fu disastrosa.
Dovevo ascoltare, mio malgrado, un concerto da camera in
stereofonia: a sinistra, Enzo che parlava e urlava nel sonno, a destra, don
Serafino che russava.
Sabato, dopo la S. Messa, celebrammo la Via Crucis nella Basilica S. Pio X,
rievocando i quindici momenti più importanti dalla condanna di Gesù alla sua
risurrezione.
Ci unimmo ancora una volta, formando un'unica voce e un
unico spirito.
Verso le 2 del pomeriggio andammo su un irto pendio, sudando pioggia, a
svolgere fisicamente la Via Crucis. Ci incamminammo e, ad ogni Stazione, ci
fermammo recitando un’Ave Maria, e, all'ultima, l'intero Rosario, che,
naturalmente, non fu l’unico. A volte ci trovammo assieme ad altri gruppi, a
volte anche stranieri.
Fino a quel momento non avevo mai visto di buon occhio
quelli che recitavano il Rosario: mi sembravano dei robot programmati per
ripetere meccanicamente cinquanta volte la stessa frase; ma fu in quel momento
che capii che non era così: ripetendolo in gruppo ci si sente tutti più uniti,
più vicini, più affratellati; a me venne quasi istintivo associarmi anche
oralmente alla preghiera.
Verso le 16.30 tornammo alla Basilica, che, ormai, era diventata la nostra
seconda casa. Celebrammo la processione eucaristica.
Una marea di gente inondava l'intera Basilica.
Io ero sul risciò (la mia carrozzina aveva bucato) in
prima fila con gli altri invalidi.
La funzione fu celebrata in più lingue. I sacerdoti
avanzarono piano piano, con l'Ostensorio in mano, a dare la benedizione. Sulla
parte superiore della Basilica sacerdoti e pellegrini avanzarono lentamente,
ceri in mano, percorrendo l’intero perimetro.
Tutto questo contribuì a diffondere un clima di pace, di
serenità, e, perché no!, anche di magia e di onnipotenza.
Il resto del pomeriggio lo passammo a fare compere. Con uno stratagemma
degno di un film di spionaggio riuscimmo a comprare un regalino per Simona
senza che lei se ne accorgesse.
Alle 21 andammo all’Esplanade per svolgere la Fiaccolata. Potete facilmente
immaginare che delizia svolgerla sotto la pioggia... e con il vento! Migliaia
di pellegrini avanzavano lentamente recitando il Rosario in varie lingue,
latino compreso, alzando e abbassando ritmicamente le proprie fiaccole; tutti i
pellegrini occupavano quasi l'intera superficie dell'Esplanade, formando, così,
un'interminabile fila. Se qualcuno l’avesse osservata dall'alto, avrebbe notato
una vasta distesa luminosa che scintillava nell'oscurità.
Quando recitavano le preghiere in latino io mi sentivo
emarginato, e come me, probabilmente, molti altri giovani che non hanno
studiato questa lingua. Ora, riflettendoci, il latino è la lingua-madre per
eccellenza: da lei sono nate la maggior parte delle lingue occidentali; quindi,
pregare in latino, è un simbolo di unione e di comunità.
Fu durante questa celebrazione che conobbi un signore di
Savona: vedendo che mi stavo bagnando per bene (non potevamo alzare il tetto
del risciò perché, altrimenti, non avrei più potuto tenere in mano la
fiaccola), si avvicinò e mi coprì col suo ombrello. Dopo la Fiaccolata, che, a
causa del tempo, si celebrò in versione ridotta, scambiammo quattro chiacchiere
e ci separammo.
Andammo a vedere la Grotta;
dicemmo tre Ave Maria e cantammo la Salve Regina in latino. Enzo e Simona
vollero rimanere soli soletti (...!),
e io, don Serafino, e tutti gli altri, tornammo in albergo.
Quando Enzo e Simona tornarono, ci mettemmo a scrivere le cartoline.
E così venne domenica. (Il fatto, lo ammetto, è molto consueto!)
Alle 9 andammo alla solita Basilica a celebrare la S. Messa
internazionale.
In questa occasione la Basilica raggiunse il culmine
della presenza e della partecipazione.
La Messa era detta in francese, inglese, tedesco,
spagnolo, e italiano.
Ciascun sacerdote ripeteva la preghiera nella propria
lingua e i suoi fedeli gli rispondevano. Mi accorsi subito che la lingua più
calda, quasi amichevole e confidenziale, era lo spagnolo; mentre quella più
dura era il tedesco.
Una magica atmosfera si diffuse in tutta la Basilica.
Alcune suore offrirono l’Acqua Benedetta di Lourdes agli invalidi; la bevvi
anch'io.
Alle 11 andammo alla Grotta a celebrare la conclusione del pellegrinaggio
donando alla Madonna sette ceri e le nostre sette bandiere. Dopodiché
ritornammo tutti in albergo.
Il viaggio di ritorno andò bene, anche se, io ed Enzo, involontariamente,
facemmo preoccupare i nostri compagni di scompartimento con una finta
scazzottata degna di un film di 007. Ci pentimmo subito di aver fatto
spaventare tante persone per niente; così, ora, ne approfitto per chiedere
scusa a nome di tutt'e due.
Ora, anche a costo di sembrare lagnoso e molto retorico, devo fare i dovuti
ringraziamenti a un numero abbastanza consistente di persone.
Voglio ringraziare tutti quelli che hanno contribuito a
farmi passare serenamente questo pellegrinaggio; e più precisamente: don
Serafino che mi ha offerto di fare questa magnifica esperienza, i miei
insostituibili assistenti Enzo e Simona, tutti quelli che mi hanno tenuto
compagnia, e, anche se non hanno partecipato al pellegrinaggio, i signori Pirola.
©Sergio Rilletti, 1988
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