Era il 22 aprile 1988. La
diocesi di Milano era andata a Lourdes per un pellegrinaggio di tre giorni.
C’ero
anch’io.
Arrivammo alle 10.30 del
mattino.
Al
pomeriggio celebrammo la S. Messa alla Basilica S. Pio X, e, subito dopo, la
processione delle Confessioni alla Cité St. Pierre. La serata era libera.
Io, da
buon amante della natura, mi ero prospettato di trascorrerla analizzando quel bel fiorellino di
Simona; invece dovetti accontentarmi di contemplare quella faccia di bronzo di
Riace di Enzo.
Fuori
pioveva, la mia carrozzina aveva bucato, costringendomi, così, a restare in
albergo.
Ah, che
magnifica schifosa serata!
Proprio
il clima adatto per un giallo alla Ellery Queen.
Ero nell’atrio con Enzo, don
Serafino, e qualche signora che non conoscevamo.
Stavo
raccontando a don Serafino, che era uscito a vedere la Fiaccolata, che
eccitante serata avevo passato in compagnia di Enzo, quando un inserviente dell’albergo
irruppe nell’atrio. Ci fece capire, non so come, che due signore del terzo
piano stavano scappando dalla loro camera.
Don
Serafino ed Enzo, con un balzo felino, saltarono in ascensore.
Passai
dieci lunghi minuti (ognuno, sicuramente, molto più lungo di 60 secondi) in
compagnia di una signora, non del nostro gruppo, che, vedendomi in carrozzina,
mi aveva scambiato per un bebè (quanto mai mi ero tagliato la barba quella
mattina!), trattandomi come tale.
Voltavo
le spalle alla sala da pranzo; quindi, anche se avessi voluto, non avrei
nemmeno potuto rifarmi la vista con la dolce e soave visione delle cameriere.
Enzo e il Don ritornarono e si misero seduti accanto a me. Ci dissero che
al terzo piano due signore si erano spaventate perché avevano sentito (ma non udito!)
odore di filo bruciato.
Fu
subito il panico: gente terrorizzata che urlava, strillava, si strappava i
capelli. Non volevano più andare a letto; volevano scappare, fuggire, chiamare
i pompieri, la polizia!
Enzo e
don Serafino cercarono di calmare gli animi, di ridimensionare il panico. E, vi
assicuro!, fu un’impresa molto ardua. Io, come ogni volta che mi trovo
coinvolto in qualche avventura o in qualche situazione difficile, scoppiai a
ridere.
Dopo una buona decina di
minuti, i miei due compagni riuscirono a spegnere l’infernale panico.
Salimmo
al nostro piano: il primo.
Enzo era sul punto di aprire la
porta della nostra camera, quando si bloccò. “Sentite,” disse, “io non avrei
nessun problema ad andare a dormire su. Almeno tre signore potrebbero venire
qui.”
Io
accettai subito, e anche don Serafino: eravamo sicuri che non sarebbe successo
niente; e poi, come insegnano i film catastrofici, dovevano pur esserci due o
tre eroi!
Enzo
ritornò nell’atrio.
Il Don
mi propose di andare sul luogo del
delitto a raccogliere indizi, e scoprire cos’era accaduto.
Io
accettai: fra i tre, e probabilmente tra tutti, ero l’unico lettore di romanzi
polizieschi, e quindi mi sentii quasi obbligato di incaricarmi delle indagini.
E poi, come tutti i detective dei gialli hard boiled che si rispettino (verso i
quali ho una particolare predilezione), anch’io ero uno sportivo; quindi mi
sarebbe potuto capitare di fare un po' di ginnastica
notturna con qualche bella spia. Magari la spia era proprio la cameriera
dai capelli rossi.
Eh, sì!
Quell’indagine poteva risultare molto eccitante.
Nell’ascensore riflettei su chi
poteva essere stato e sul suo movente. Mi balenò in mente un’idea.
Possibile? mi
dissi. Un appassionato di film
catastrofici che, dopo aver visto il grande successo di L'Inferno di cristallo e Fiamme su New York, abbia deciso di girare Gran focolare a
Lourdes? In stile documentario, e senza
neanche avvertirci?
L'ipotesi,
perfettamente plausibile, mi turbò un po’.
Approdammo al terzo piano.
Io
continuai a riflettere: Il colpevole dev’essere,
ovviamente, qualcuno nell'albergo, qualcuno che conosca bene i nostri
spostamenti; quindi praticamente tutti! E poi, continuai, una volta svelato il mistero e trovato il
colpevole, come mi devo comportare? Sicuramente come il grande Hercule Poirot,
svegliando tutti nel cuore della notte, riunendoli nella hall - personale
compreso -, ed esporre tutte le mie brillanti deduzioni fino alla soluzione del
caso.
Appena
arrivati non sentimmo alcun odore, ma, man mano che andavamo verso le camere,
la puzza aumentava.
Giungemmo
alla camera famigerata: la 310. Lì effettivamente l'odore era molto forte.
Arrivò
anche Enzo con le signore.
Don
Serafino aprì piano piano la porta, dimostrando, così, quello che già sapevo:
non era un lettore di romanzi polizieschi. In questi casi, infatti, è
consigliabile aprire la porta con estrema violenza, preferibilmente con un
calcio, in modo da trasformare l’eventuale malintenzionato che si nasconde
dietro (dato che, come si sa, dietro alle porte si nascondono solo i
malintenzionati!) in un bassorilievo scolpito nel muro.
Don Serafino
voleva entrare, ma io lo fermai. Estesi il pollice e l'indice, e spianai la mia
mano contro la stanza: ho le mani abbastanza grandi, quindi qualcuno, da
lontano, con la coscienza sporca e facilmente impressionabile, avrebbe potuto
pensare che avessi una 44 Magnum in pugno, terrorizzarsi, arrendersi, e
confessare tutto!
L’idea
era sicuramente buona, ma la stanza risultò vuota. Comunque, per maggior
sicurezza, feci tre volte il rumore dello sparo: se c’era qualcuno nascosto
avrebbe sicuramente urlato!
Silenzio
assoluto. Non si udì nulla. Niente di niente.
Mai
come allora mi sentii così... pistola!
Don
Serafino entrò con estrema circospezione e scrutò attentamente tutta la stanza.
Non vide nulla di sospetto. Si accostò al calorifero e ci posò la mano. Il suo
volto diventò ben presto paonazzo. “Ahio! Come scotta!” esclamò.
“Ma
certo!” esultai.
“Ma
certo, che cosa?” si stupì Enzo, il denigratore dei denigratori dei romanzi
polizieschi e di tutti quelli d’azione.
“Vedi,
caro Enzo,” lo spirito di Sherlock Holmes si era reincarnato in me, “quando i
caloriferi vengono riaccesi dopo parecchio tempo, mandano odore di bruciato. Ed
è esattamente quello che è successo qui questa sera!... Elementare, Enzo!
Elementare.”
Ci
congedammo dalle signore svelando il terribile mistero che si era celato dietro
le mura di quell’albergo.
Per noi
il caso era chiuso. E io avevo deciso: Da grande avrei fatto l’investigatore
privato!
©Sergio Rilletti, 1988
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