Poi, mi resi
conto che c’erano due piccoli fatti della mia vita che si sarebbero incastonati
perfettamente nel tema di questa serata.
Due fatti
risalenti al mio periodo scolastico, che ho trascorso sempre in scuole normali - che, a differenza di quelle speciali, ammettevano l’inclusione anche
di persone prive di disabilità -, in
cui mi sono contrapposto a delle realtà che non mi piacevano.
Il primo è
accaduto alle scuole medie, quando, su suggerimento di mia madre, scrissi una
lettera a macchina, che feci recapitare alla preside, per protestare contro il
cambio della mia insegnante di sostegno, che, a differenza di quella
precedente, non mi sembrava molto lungimirante. Purtroppo tale sostituzione non
dipendeva da lei ma dal Provveditorato,
ma intanto l’avevo fatta partecipe di quello che pensavo.
Il secondo fatto
è avvenuto alle scuole superiori, quando, approfittando di un tema in classe,
decisi di esternare il mio disappunto sul comportamento persecutorio che la
professoressa di Francese, che nominai precisandone pure il cognome, secondo me
aveva nei confronti di una certa mia compagna. Alla riconsegna dei temi, parlando
in generale, la professoressa di Italiano, con un po’ di imbarazzo volutamente
accentuato, ci disse che non era affatto necessario essere così precisi coi nomi dei professori; ma
intanto aveva dovuto prenderne atto.
Ebbene sì;
perché, come molte cose importanti della vita, anche l’indisciplina si impara a scuola.
Un tipo di indisciplina che non ho mai smesso di
coltivare, applicandola in diverse circostanze, convinto che sia doveroso, per
chiunque, non limitarsi ad alzare le mani in segno di passiva e illusoria
astensione, che comunque non esiste, da ciò che si vede da vicino, ma di
rendersi partecipe di un tentativo di miglioramento o di un vero e proprio atto
di solidarietà.
Anch’io,
nella mia vita, ho avuto molti momenti di solidarietà… ma anche di omertà, a
cui comunque ho sempre cercato di reagire attraverso l’uso della scrittura. E
quello che sto per raccontare è un episodio emblematico in entrambi i sensi,
che non solo ha caratterizzato alcune mie drastiche scelte di vita ma anche la
mia narrativa.
Domenica 9
Aprile 2006 fu un giorno fatidico per me; non perché fui abbandonato in mezzo
al Parco di Monza da un gruppo di volontari - guidati da un educatore volpone -
che volevano
farsi un giro in risciò, e neppure perché ho
impiegato due ore, a bordo della mia piccola carrozzina elettrica, a cercare
aiuto… con tutte le mie difficoltà di articolazione del linguaggio; ma per i
due fatti, uno positivo e l’altro negativo, che si sono succeduti.
Il primo,
positivo, è stato il fortuito incontro con una splendida coppia di giovani che
ha sancito la fine del mio incubo. Loro avrebbero potuto alzare le mani per
salutarmi, come certi avevano fatto, oppure limitarsi a darmi delle indicazioni
per raggiungere la mia meta, come altri - che comunque ringrazio - avevano
fatto; invece no. Loro, vedendomi spaventato e capendo subito che qualcuno mi aveva perso, decisero di starmi
vicino, e, comportandosi in modo assolutamente encomiabile, riuscirono, con la
mia collaborazione, a rintracciare l’educatore volpone.
Ora non vi
racconterò i dettagli dell’intera vicenda, che comunque potete leggere nel mio racconto
Solo! - scaricabile gratuitamente dal
web -, che ho scritto appositamente nella speranza di rintracciare quei due
formidabili giovani, per ringraziarli. Ma sappiate che questo magico incontro
fu l’inizio di un inferno di omertà che proprio non mi aspettavo, e che non
solo mi ha impedito di avere il numero di cellulare dei due giovani, che
l’educatore volpone e due volontari possedevano, ma costringendomi anche a
constatare l’unanime disinteresse di tutti i volontari presenti quel giorno,
che, pur conoscendomi da anni e avendo la mia e-mail, in modo assolutamente disciplinato decisero di non farsi più
sentire.
Fu in quel
momento che mi resi definitivamente conto che viviamo tutti con un’invisibile Spada
di Damocle pendente sulle nostre teste: persone che conosci da anni, di cui hai
una bella opinione (che oltretutto sanno), che a un certo punto della loro vita,
in nome di una perversa concezione di unità di gruppo, senza alcun valido
motivo ti tradiscono, mentendo spudoratamente a tuo sfavore, o comunque tacendo
la verità; anche a costo di fare palesemente la figura dei fessi!
Una realtà
che nelle avventure di Mister Noir viene rappresentata attraverso La Spada di Damocle,
una famigerata Organizzazione criminale internazionale atta al dominio delle
nostre menti, e dei suoi Agenti Operativi, che sanno bene ciò che fanno, e
Agenti Inconsapevoli, che invece obbediscono ottusamente agli ordini senza
ragionare granché.
Un’Organizzazione
criminale fantasma il cui nome prende spunto da una leggenda greca - dove la
spada di Damocle è il simbolo di un grave pericolo dovuto a una grande
responsabilità -, ma che, coerentemente con la sua mission di mistificazione della realtà, ne altera il significato.
Un’Organizzazione
criminale fantasma di cui noi non possiamo percepire l’esistenza come tale, ma
di cui io, Mister Noir, e chiunque altro, siamo tenuti a combattere i suoi
Agenti, Operativi o Inconsapevoli che siano.
Alzando le
mani, in senso metaforico, alla Bud Spencer!
©Sergio Rilletti, giovedì 14 giugno 2018
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