Lei era bella, bella da far mancare il fiato. La fine del mondo.
Alta, mora, capelli lunghi e lisci, occhi scuri e ardenti, e un fisico atletico e ben modellato.
Erano giorni che la seguiva. Ormai sapeva quasi tutto di lei. Sapeva dove abitava, dove lavorava, a che ora iniziava e finiva; sapeva che aveva una sorellina, che avrebbe potuto essere sua figlia, e un uomo.
Un uomo molto fortunato, alto e bello, che poteva abbracciarla quando voleva e stampare le sue labbra su quelle di lei, e mangiarsela tutta, un boccone alla volta.
Un uomo che lui aveva visto molto da vicino, dato che l’aveva investito, apposta, con l’auto.
Un uomo che ora giaceva in un letto d’ospedale, lasciando lei sola.
Sì. Quella donna era la fine del mondo.
E ora lui, finalmente, poteva avvicinarla e possederla.
C’era solo una cosa che non sapeva di lei: il nome.
Ma, a quello, c’era rimedio!
E così, un giorno, quando lei uscì dall’ufficio, lui la seguì fino a casa. E la bloccò sulla soglia.
Lei lo guardò, per nulla stupita. “Era ora che ti facessi vivo!” disse con un sorriso enigmatico.
“Mi avevi notato?” esclamò lui con una compiacenza da ebete.
“Certo. Entra.”
Lui obbedì, e lei chiuse la porta alle sue spalle.
Gli si piazzò davanti. “Mi vuoi?” chiese con una voce che sapeva di miele e uno sguardo che sembrava sondargli l’anima.
“Sì” rispose lui, trasognato. “Come ti chiami?”
“Maya.”
“Adesso ti sfoglio come un calendario!” rispose lui, ironico, mentre le abbassava le spalline facendole scivolare il vestito rosso in fondo ai piedi.
Quella donna era davvero la fine del mondo!
Lui si strappò la camicia di dosso e le si avvinghiò contro. E, mentre lui alternava morsi a forsennati baci sul collo, con le mani e le unghie di lei che gli solcavano la schiena, qualcosa cambiò.
Le unghie di Maya si allungarono, trasformandosi in artigli, e iniziarono a dilaniare la carne dell’intruso. I gemiti di doloroso piacere di lui, man mano lasciarono il posto a grida sempre più strazianti. Solo quando gli artigli di Maya cominciarono a dilaniargli tessuti e ossa, lui discostò di colpo la faccia dal corpo di lei, guardandola con gli occhi sbarrati dal dolore.
Fu in quel momento che la bocca di Maya si aprì, poi si spalancò.
A dismisura.
La parte inferiore della bocca sprofondò fino allo sterno, quella superiore si alzò fino a superare l’intera testa, rivelando delle zanne acutissime che nessun essere umano aveva mai visto prima.
Lui ebbe solo il tempo di iniziare un disperato urlo di terrore, quando le fauci di Maya si richiusero sulla testa dell’intruso, stritolando e trasformando in una poltiglia sanguinolenta di tessuti, muscoli, ossa, e tutto ciò che incontrava.
Già!... Quella donna, Maya, si era veramente dimostrata la fine del mondo.
Del suo mondo.
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