Una delle cose più piacevoli della vita è proprio questa.
Fermarmi a rimirar il mare.
Lo faccio spesso, quando vengo a
Celle Ligure.
Mi piazzo qui, dove il mare
arriva fin sotto la passeggiata, e lo contemplo; lo osservo allungarsi fino
all’orizzonte, e oltre.
Il mio sguardo fluttua sulle
acque, veleggia, e, sospinto dai ricordi, mi riporta al passato.
Sì, in effetti, qui a Celle,
dove vengo in vacanza da ancora prima di nascere, ogni centimetro che percorro,
ogni struttura che incontro, mi rimanda a epoche diverse del mio passato.
Luoghi che sono stati fondamentali nella mia vita, e che ora sembrano appartenere
a un’altra dimensione, ad un mondo onirico non mio. E poi le persone: alcune
hanno mantenuto il loro ruolo, altre l’hanno modificato; alcune sono scomparse,
altre sono rimaste, altre ancora sono magicamente apparse.
Già. Potrei fare l’intera
cronistoria della mia vita vacanziera cellese, scandita dai miei mezzi di
locomozione: prima il passeggino, poi la carrozzina manuale, e, infine, da
circa trent’anni, le diverse carrozzine elettriche, sempre più moderne e sofisticate.
Già, potrei. Ma non so se
avrebbe senso.
Vi racconterò, invece, una
vacanza che non ha nulla a che fare con Celle Ligure, ma che è stata fondamentale
per me, e che, probabilmente, ha contribuito a formare la persona che sono
oggi.
Intendiamoci bene: io ho fatto
tanti viaggi, sia prima che dopo, sia con la mia famiglia che senza, ho provato
tanti mezzi di trasporto (camper, mongolfiera, e cargo olandese del 1800
compresi), e ho girato tutta l’Europa (o quasi), ma in quella vacanza, pur
rimanendo in Italia, ho travalicato i confini di me stesso.
Era l’estate 1989, luglio mi pare, e quindi avevo 21 anni.
Avevo deciso di aderire ad una
vacanza del Servizio Tempo Libero dell’AIAS – Associazione Italiana Assistenza
Spastici – di Milano, sorto pochi anni prima con lo scopo di assicurare una
vita sociale, nella sua parte più spensierata, anche alle persone con disabilità.
Io non avevo mai voluto provare,
convinto che, per divertirsi, bisognasse conoscere già qualcuno. E non
partecipavo molto neanche alle iniziative ordinarie, che si svolgevano durante
l’anno, sempre per lo stesso motivo.
Sì, è vero che poche righe fa ho
scritto che ero già andato in vacanza senza famiglia, ma comunque, negli altri
casi, c’era sempre qualcuno che conoscevo: non erano mai tutti completamente
sconosciuti.
Ma, quella volta, qualcosa mi
spingeva ad accettare.
Qualche mese prima di ricevere
l’invito dall’Aias (che, a dire la verità, dava due alternative), infatti, avevo
conosciuto una ragazza, una volontaria di nome Francesca: un bel tipo
mediterraneo, dal carattere gioioso ed estroverso, che mi colpì subito,
persuadendomi, senza saperlo, a iniziare a frequentare le attività del Servizio.
Il mio istinto mi avvertì che Francesca
avrebbe partecipato proprio a quella
vacanza, e non all’altra. Così, convinto che valesse la pena di conoscerla
meglio, pur non avendo alcuna certezza che ci sarebbe realmente andata, decisi
di iscrivermi.
Dieci giorni in Umbria, dal
venerdì alla domenica successiva.
Eravamo circa in venti, in un campeggio abbastanza vicino ad
Assisi, e alloggiavamo in un gruppo di bungalow.
Io, in cuor mio, non potendo
certo sperare di finire in camera con Francesca, mi auguravo almeno di essere
in stanza con Alberto e Giovanni, i due educatori, che mi conoscevano bene e coi
quali mi sarei sentito a mio agio; invece capitai con Matteo, Michele, e
Bordiga.
Bene. Era venuto il momento di
mettersi in gioco, con tre ragazzi che non conoscevo e coi quali avrei dovuto
condividere la stanza, e non solo, per i successivi dieci giorni!
Ero lì, sommerso da questo
pensiero, quando Michele mi gira verso un armadio di legno a due ante e cinque
scaffali; e, brandendo un mio asciugamano, mi chiede: “Dove mettiamo questo?”.
Io guardo l’armadio, con tutti
quegli spazi vuoti che sembrano volermi fagocitare, e rimango interdetto.
Nessuno mi aveva mai fatto una domanda del genere!
E ora, che faccio?
Per fortuna, Michele mi propone
di posizionarlo nel terzo ripiano, e io acconsento subito con grande
entusiasmo, come se mi avesse letto nel pensiero.
Michele continua a pormi la
stessa domanda per ogni capo d’abbigliamento che trova nella valigia, e io,
ormai spavaldo, rispondo sempre a colpo sicuro.
Michele e Matteo si dimostrarono
subito simpatici, io entrai immediatamente in empatia con entrambi, e con
Michele diventai proprio amico.
Furono dieci giorni molto belli
e molto intensi, in cui ci divertimmo davvero tanto (cantavamo, scherzavamo,
facevamo escursioni turistiche, giocavamo) e in cui io dovetti cimentarmi in due
imprese assolutamente difficili: dimostrare una totale fiducia in tutti quei
ragazzi che non conoscevo, a cominciare da Michele e Matteo, e, soprattutto,
relazionarmi in modo simpatico con chiunque.
La mia amica Simona, infatti, ben
sapendo che avrei partecipato a quella vacanza con lo specifico intento di
conquistare l’amicizia di Francesca, mi aveva raccomandato, alla stregua di un
“mental-coach” (come l’avrei soprannominata più avanti), di non stare sempre
vicino a lei, per non rischiare di diventare la sua ossessione.
E così feci.
In quei dieci giorni mi adoperai
per star bene con tutti, scegliendo, a volte, proprio delle iniziative in cui
sapevo che non ci sarebbe stata
Francesca. Apposta. Per raggiungere il mio obiettivo.
Fu un duro impegno, che mi
richiese molta concentrazione. Ma riuscii a perseguirlo al meglio.
E fui ampiamente ripagato. Da
tutti.
Con Francesca trovai il giusto
equilibrio. Si dimostrò la bella persona che mi immaginavo, passammo anche
qualche momento confidenziale in privato, e diventammo amici.
Agli altri volontari credo di
aver lasciato un bel ricordo, come loro l’hanno scolpito in me, dato che quando
alcuni di loro mi rividero anni dopo, per caso, mi corsero subito incontro con
grande entusiasmo.
Da quella vacanza tornai con tre
amici in più: Francesca, Michele, e Lisa, una bella e timida ragazza dai
capelli castani e dagli occhi azzurri come il cielo terso, che ci allietava
suonando il flauto traverso.
Sono rimasto in contatto anche
con Giovanni, uno dei pochi educatori davvero in gamba che ho conosciuto. E di
cui, riguardo a quella mirabile vacanza, conservo un ricordo-lampo unito a una
sensazione indelebile.
Un giorno, mi pare il lunedì,
Giovanni mi propose di fare un giro in auto, solo con lui. Io accettai. Non mi
ricordo se avessimo una destinazione precisa o se fossimo partiti all’avventura,
ma, arrivati a un incrocio a T, Giovanni mi domandò: “Destra o sinistra?”. Non
mi ricordo se abbiamo raggiunto una meta, ma mi ricordo che il panorama
verdeggiante era stupendo e, soprattutto, la sensazione che provai: un gioioso
e irrefrenabile senso di libertà, che mi porto dentro ancora oggi.
Così, da quella vacanza, tornai
a casa pure con un bagaglio virtuale, etereo ma capiente, in più: tre nuovi
amici, la consapevolezza che si possono trascorrere dieci giorni divertenti con
degli sconosciuti (poi ex-sconosciuti), e una vastità incomparabile di
emozioni.
E non solo.
C’è stato un altro elemento che ha caratterizzato tutto quel
viaggio, una componente fondamentale di ogni persona, presente anche in un periodo
ludico come quello: la quotidianità; ovvero quell’insieme di mansioni che si
devono compiere tutti i giorni per vivere dignitosamente.
Lavarsi, nutrirsi, e dormire:
queste sono le tre attività principali che costituiscono la quotidianità di una
persona. Tolto il dormire, che è una funzione di estremo relax che si pratica
necessariamente da soli, esistono comunque le altre due, che, per una persona
con problemi motòri e di articolazione del linguaggio, comportano l’attivazione
immediata di due fondamentali qualità: la pazienza e la fiducia. Estreme. Più, ovviamente, una buona dose
di disinibizione, che, se non ce l’hai, devi comunque acquisire all’istante.
Soprattutto se devi affidarti anima e corpo, soprattutto corpo, a qualcuno che non hai mai visto prima!
E così, una volta riposta tutta
la mia roba negli scaffali, venne il momento della prima doccia.
Con i relativi ostacoli,
psicologici e materiali, da superare.
E mo’, come glielo spiego? Che cosa accadrà?
Al di là di tutto, era questo
che mi domandavo.
Michele e Matteo erano
simpatici, questo è vero, ma comunque l’imbarazzo persisteva!
Per me era già difficoltoso
aprire bocca per conversare, ma almeno quello (ridere, scherzare, scambiarsi
gusti e opinioni, confidarsi), era una cosa naturale. In quel momento, invece,
di naturale non c’era proprio niente. E il pensiero di dover impegnare un altro
a comprendere qualcosa che in una conversazione normale non ti sogneresti di
dire affatto, non aiuta certo l’emissione della voce.
Eppure dovevo farlo. Per forza.
Per rispetto di me stesso e di chi mi voleva aiutare. I momenti goliardici e
intellettivi sarebbero venuti dopo, ma quello era il tempo del rispetto e della
fiducia.
E dovevo sperare che i miei due
interlocutori di turno, oltre ad essere di indole buona, fossero pure tipi
svegli, che riuscissero a entrare in sintonia con me, e, soprattutto, che non
facessero finta di capirmi, vanificando, altrimenti, ogni mio sforzo.
Il lavaggio, alla fine, andò
bene.
Così come pure la medesima
vestizione del sottoscritto.
Bene. Era fatta. Ora potevo uscire
dal bungalow, e andare a divertirmi con gli altri. E, soprattutto, con le altre: Francesca, Lisa, e Compagnia
Bella!... Nel senso più appropriato del termine!
Già. Sarà un mistero, o forse no, ma io mi trovo molto
meglio con le donne che con gli uomini.
Ho molte più amiche che amici,
alla faccia di chi non crede all’amicizia tra uomo e donna!
Sarà perché le donne sono più
disinvolte e perspicaci (come sostengo io), sarà perché io sono un volpone
(come sostengono gli altri), ma è un dato di fatto che la mia vita è costellata
da donne. Alcune mi aiutano nella mia vita quotidiana (ognuna a modo proprio),
altre mi supportano in imprese memorabili (come quella di affermarmi come
scrittore), altre ancora mi sono semplicemente amiche; ma le donne, nella mia
vita, hanno un ruolo fondamentale.
Anche nei momenti ludici,
ovviamente!
Così, in Umbria, quando
giocavamo o facevamo le gite fuori camping, tendevo a rimanere con loro (anche se
in realtà, seguendo il consiglio di Simona, mi dividevo volentieri tra tutti).
Invece, durante i momenti di
libagione, dove i piaceri della tavola si univano a quelli della conversazione,
fondendosi insieme in un’unica sfavillante portata, la mia tendenza alla
compagnia femminile si faceva molto più marcata.
Ebbene sì. Finalmente, a tavola,
potevo intrattenere e intrattenermi senza grossi vincoli di tempo, e gestire i
rapporti con maggior agilità, senza il rischio di repentini cambi di scena.
Sì, certo, anche durante il
tempo delle libagioni occorrevano pazienza e fiducia, soprattutto se, oltre a
farti imboccare al meglio delle possibilità altrui, volevi impostare un dialogo
vero e non preconfezionato; ma almeno, lì, non c’era alcun imbarazzo da
vincere, e la voce mi usciva d’incanto.
Così, aprendo la mente verso tutti, approfittando di tutti i
momenti spensierati di gruppo, e creandone pure qualcuno privato, ho passato
una vacanza indimenticabile, forse la più particolare della mia vita.
Una vacanza che, data la sua
natura e come si è svolta, non esiterei a definire formativa!
Ora sono qui a Celle Ligure, sulla mia carrozzina elettrica,
e contemplo il mare.
Come ho detto all’inizio, è
probabile che quella vacanza abbia contribuito a farmi diventare quello che
sono oggi.
Da allora, infatti, non ho più
smesso di cercarmi nuovi amici e, soprattutto, nuove amiche. Da solo, senza
alcun familiare di supporto. Proponendomi degli obiettivi che, spesso,
raggiungo.
Spirito d’avventura, secondo me.
Quello stesso spirito che ora mi
fa ruotare la carrozzina a destra, e incamminarmi, oltre i confini di questa
città priva di barriere architettoniche, verso Albissola.
Sì, è una meta abbastanza vicina
e facile da raggiungere, questo è vero, ma, per me, è un rinnovato senso di
libertà, un piccolo viaggio verso l’Ignoto.
©Sergio Rilletti, 2015
Nessun commento:
Posta un commento