Gli occhi della giovane donna
mora che era seduta di fronte a lui avrebbero sicuramente affascinato Mister
Noir. Peccato, però, che fossero celati da un paio di occhiali da sole
particolarmente grandi e scuri.
“So chi è
lei, Mister Noir” gli disse, con voce calda e sensuale, porgendogli una busta,
subito intercettata da Elena Fox, in piedi alla destra del detective, che con
movimenti rapidi l’aprì.
“Non dubito
che lei sappia chi sono io, dato che è qui!” rispose lui, a bordo della sua
carrozzina, sorridendo con la sua tipica espressione da sfottò.
Nella busta c’era un foglio con
una unica sigla: 2L84AD8.
“E questo
cosa significa? Che oltre alle lettere, sta dando anche i numeri?” esclamò il
detective.
“E’ un codice, che noi abbiamo
battezzato Codice K. Consegnarcelo è stato l’ultimo lavoro di un nostro agente,
prima di essere ucciso. Questa sera, all’Admiral Hotel, un agente dei servizi
segreti inglesi chiamato Il Visconte
passerà un programma a una spia tedesca, copiato probabilmente su una chiavetta
USB. Un programma che, attraverso migliaia di codici come questo, può elaborare,
ogni volta, un omicidio perfetto, sulla base dei parametri immessi. E noi, per
il bene del nostro Paese e del mondo, non possiamo permetterlo!... Le chiediamo
di andare a recuperare questo programma e di consegnarcelo.”
“E perché non
incaricate qualche altro vostro agente?”
“Perché
temiamo che li abbiano già scoperti tutti.”
“Ah!
Complimenti per le grandi spie che
avete!”
“E poi
sappiamo che lei è un ottimo cacciatore
di intrighi e di guai: come li stana lei, non lo fa nessuno!... A
proposito,” concluse, sfilandosi gli occhiali e rivolgendosi a entrambi, “se
volete potete chiamarmi Malastrana.”
A qualche isolato di distanza,
chiusa in una camera, una ragazza dai capelli lunghi ricci e rossi stava
controllando i meccanismi della sua pistola.
Il suo capo
era stato chiaro: quella sera, dopo che tutto era stato compiuto, lei doveva
entrare all’Admiral Hotel e attivare il Protocollo
Hunt, uccidendo tutti i testimoni rimasti, compresi i due detective privati
assoldati per recuperare il famigerato programma.
Admiral Hotel, ore 21.30
Mister Noir
ed Elena Fox, accanto alle avvolgenti poltrone in pelle, stavano osservando
tutt’intorno a loro. Al piano rialzato, le persone si erano assiepate tra il
bar e la zona ristorante, dove erano esposti i manifesti dei film di 007: quell’hotel,
infatti, era la sede del fan club italiano nonché dell’unico museo in Europa
dedicato a James Bond.
Fu in quel
momento che gli occhi del detective captarono un uomo alto, brizzolato,
dall’aspetto aristocratico; sulla giacca scura era affissa una spilla d’oro,
raffigurante una corona a cinque punte sormontate da altrettante perle: il
simbolo dei visconti. Con un cenno del capo lo indicò a Elena, che si mosse subito
verso di lui, mentre un pianista cominciò a suonare.
Era una ouverture
forsennata e incomprensibile, che non aveva mai sentito prima; se quel
musicista fosse stato in un talent-show, uno dei relativi giudici - noti per la
loro compostezza e comprensione -, probabilmente gli avrebbe fracassato il
pianoforte in testa.
C’era qualcosa
di strano in quell’esecuzione: era come se il pianista usasse sempre le stesse
sei note, combinandole in modi differenti.
Osservò
meglio. Sì, era così: le mani del
pianista andavano solo dal Do al La, e basta!
Un uomo
aitante e biondo si avvicinò al Visconte, e, mentre il pianista continuava le
sue evoluzioni, si strinsero la mano.
Fu quando il
pianista premette, per la prima volta e con foga, il Si, la settima nota della scala musicale, dando così il suo sonoro assenso,
che si scatenò l’inferno.
La signora a rotelle con gli occhiali e un
fucile si materializzò di colpo a pochi metri alla sinistra di Mister Noir:
l’ora del castigo era arrivata!... Sparò
al Visconte, suo collega traditore dei servizi segreti di Sua (lesa) Maestà,
centrandolo in pieno; dopodiché, si alzò dalla carrozzina facendo cadere la
coperta, e si levò la parrucca da anziana signora: Richard Carson si elevò in
tutta la sua straordinaria possanza, armò il fucile a pompa, e sparò; Elena Fox
si abbassò appena in tempo per sentire il proiettile di grosso calibro fischiarle
sopra la testa, mandando in frantumi una parete.
Elena caricò
a testa bassa il biondo, che nel frattempo aveva quasi raggiunto la scala all’altezza
del pianoforte, e lo sbatté prima contro il muro e poi giù per le scale. Il
pianista, niente affatto inerme come quelli dei film western, lasciato il suo
posto estrasse una pistola e cominciò a sparare all’impazzata, frantumando
piatti & bicchieri e falcidiando tutti quelli che gli capitavano.
Fu Carson a
mettere fine a quella confusione, piantandogli una grossa pallottola in pieno
petto.
Elena doveva
recuperare la chiavetta, ancora nella mano semiaperta del biondo.
Carson sparò
nella sua direzione; Elena saltò in avanti, piroettò in aria, e atterrò accanto
al biondo. L’inglese alzò l’arma e ricaricò, ma non ebbe il tempo di
riutilizzarla; maledicendosi in anticipo per l’idea che gli era venuta, Mr. Noir
con un balzo si catapultò tutto a destra ribaltandosi con la carrozzina, e la
spinse via: questa travolse la spia, che vi cadde sopra; il fucile scivolò
verso il detective; la spia inglese dilatò gli occhi vedendo la bocca del
fucile rivolta verso di sé, e Mister Noir, con un bel colpo di tallone ben
piazzato, azionò il grilletto e lo fucilò.
Elena
raccolse la preziosa chiavetta, e interrogò con lo sguardo il suo capo. E ora, cosa dovevano fare? Ora, che avevano
portato a termine il loro incarico, avrebbero davvero consegnato quel piccolo
dispensatore di omicidi perfetti alla loro cliente?
In quel
momento entrò una ragazza dai capelli lunghi ricci e rossi, che spianò una
pistola contro Elena. “Dammela!” le sibilò.
La detective
restò immobile, la rossa tirò indietro il percussore.
Mister Noir
decise di rispondere alla silenziosa domanda che gli aveva posto la sua
assistente, dando il via a un insolito tiro al piattello. “Pool!” urlò.
Con un
movimento fluido, Elena lanciò la chiavetta in aria: la rossa si distrasse
seguendone la traiettoria, ed Elena, veloce come un lampo, con la sinistra
estrasse la pistola, e sparò prima a lei e poi alla chiavetta, mandandola in
frantumi.
Andò dal suo
capo per rimetterlo sulla carrozzina, e si avviarono all’uscita. La porta
scorrevole si aprì automaticamente, ed entrò un uomo vestito elegante, dal
volto ispanico, col pizzo, i capelli lunghi e ricci raccolti a coda, e un
Borsalino scuro in testa.
L’uomo lo
scrutò un po’, e aggrottò le sopracciglia. “Ci conosciamo?” domandò.
“Bah!...” Il
detective, tradotto simultaneamente da Elena Fox, riconoscendolo e riservandogli
uno sguardo sornione, gli concesse l’ultima
risposta di quella folle avventura. “A dire la verità, il mio biografo dice
che lei è mio zio putativo!”
©Sergio Rilletti, 2013
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